Cosa piove dal cielo? Una mucca

Questo è uno di quei film che andrebbero visti assolutamente in lingua originale. Tanto per incominciare perché già il titolo, “ Un cuento chino”, offre un assaggio non poco significativo dell’allure della storia. In spagnolo infatti dire “le dije un cuento chino” significa che ho raccontato qualcosa di davvero bizzarro, inusuale. Non c’è discriminazione nella frase, ma certamente una chiara manifestazione di quanto la cultura latina (così come quella mediterranea) siano lontane anni luce dall’oriente estremo e per noi ancora tanto misterioso.  Inoltre il protagonista “non chino” e cioè Ricardo Darìn, è un argentino che nel film ha origini italiane, cita “cose nostre” e fa riferimento alla nostra storia, particolare molto più evocativo se ascoltato in spagnolo perché subito vicino a ricordi, vissuti o raccontati, dei nostri emigranti. Questa è, infatti, una storia di sradicati, di vite spazzate dal vento del bisogno e del destino, che però possono essere terribilmente diverse nonostante la matrice che le accomuna.  Si ride e si piange guardando questo film, come quando si ricorda il proprio passato un po’ da lontano.  

Quando Ricardo si ritrova, per una serie di imprevedibili circostanze, ad ospitare Jun (Ignacio Huang), un giovane cinese alla ricerca di suo zio emigrato molti anni prima in Argentina, non è solo il suo quotidiano solitario e scontroso ad essere stravolto, ma anche e soprattutto il suo spirito. Ricardo, figlio di emigranti italiani, ha ereditato dal padre un negozio di ferramenta a seguito dell’aspra esperienza nella guerra delle Malvinas/Falkland. Introverso e ostile alle relazioni, ha l’hobby curioso di collezionare ritagli di giornale con storie ai limiti dell’incredibile, davanti alle quali, puntualmente, in una sorta di amaro rito autoconsolatorio, si pone sempre la stessa, compulsiva domanda: che senso ha? E proprio mentre si ritroverà a spiegare all’ospite improvviso, dopo una lunga ed esilarante convivenza all’insegna dell’incomunicabilità, cosa lo spinge a ritagliare e conservare questi articoli, ecco la surreale epifania: fra le storie di Ricardo ci sarà proprio la storia di Jun, davanti alla quale Ricardo ora dovrà mettere via il suo sarcastico sorriso a salve. Il giovane ha lasciato la Cina a seguito di un incidente che potremmo definire “mitologico” e cioè quando una mucca, piovuta dal cielo, ha ucciso la sua promessa sposa, insieme a tutti i suoi sogni.  E così lui ha deciso di partire, per ritrovare uno zio emigrato molti anni prima in Argentina, senza parlare una parola di spagnolo o di altra lingua, solo e senza un soldo.  Impossibile non pensare subito ai sogni altrettanto infranti di Ricardo, o forse sarebbe meglio dire mai davvero creduti, fra l’assurda esperienza della guerra e la perdita del proprio centro esistenziale, in un Paese nel quale si sente sempre un po’ straniero.

A questo punto Oriente e Occidente sono faccia a faccia, ognuno con le proprie ferite. Ma il giovane cinese non si è fermato a chiedersi il senso dell’assurdità capitatagli ed è partito alla ricerca di un nuovo se stesso, attraverso la storia della sua famiglia. Per lui il senso c’è sempre stato ed è andato avanti. Ed ecco che Ricardo, grazie a questo strano, preziosissimo amico capitato nella sua vita, quasi come la mucca è precipitata dal cielo, per la prima volta non si fermerà in un monologico perché. Ripartirà verso la vita e l’amore. Senza cercare il senso, eppure finalmente trovandolo, come tutti quelli che viaggiano a cuore aperto e mani tese. (Un cuento chino, Sebastián Borensztein, 2011).

01-12-2013 | 13:32