Cappuccetto Rosso deve morire /18

16.00

Il Commissario andò al bar. Più o meno una mezz’ora prima delle cinque di pomeriggio si scatenò uno di quei consueti acquazzoni estivi che rinfrescano e puliscono l’aria disegnando iperbole sui muri degli edifici e passando una mano di acne sulla superficie del mare.
Stava sorseggiando il caffè del dopo pennica e aveva come l’impressione che l’unica persona che se ne sarebbe andata in giro sotto quell’acqua sarebbe stata Giovanni Labile.
È curioso come delle volte dei fatti si avverino, come dei desideri anche strampalati si trasformino in realtà prima ancora che si sia riusciti a desiderarli compiutamente: Labile arrivò sotto la tettoia, realizzando così – per puro caso – un appuntamento evanescente che non si erano dati.
«Commissario, non credevo di trovarla qui».
«Mi piace la pioggia».
«Allora lei è un solitario».
«In che senso?».
«Si dice che le persone a cui piace la pioggia siano delle persone solitarie».
«Ah sì? A me piace quando fa caldo».
Disse al cameriere di portargli un cappuccino freddo.

Il Commissario vide spuntare dalla sua tasca un libro molto piccolo. Si trattava di Schopenauer Sul mestiere e lo stile dello scrittore.
«Le piacciono molto i libri, Labile?».
«Ha scoperto una delle mie perversioni».
«Ce ne sono di peggiori».
«Senza dubbio. Ma quando si amano i libri come li amo io le assicuro che è quasi morboso e purtroppo poi non ho il tempo di leggerli. Come dice Schopenauer in questo libro: la gente pensa che comprando i libri compri anche il tempo per leggerli».
«Ha molti libri?».
«Circa un migliaio. Purtroppo devo tenerli nel mio garage perché non ho spazio in casa».
«Lei entra in retromarcia, vero?».
«Sì... il senso di questa domanda, scusi?».
«Nessuno. E non le si sporcano?».
«No, li tengo in armadietti con le ante a vetri. Nel mio garage ci sono anche appesi dei quadri, il foglio matricolare militare di mio nonno, una statua di legno alta circa un metro di Fujiko Mine…».
«La donna di Lupin?».
«Esattamente».
Il Commissario sorrise: due uomini di quarant’anni che ancora si ricordavano dei cartoni che guardavano da ragazzi.
«Ho scoperto la lettura in ritardo, purtroppo. I miei genitori non avevano… forse non capivano l’importanza… o non erano intrigati dai libri. Mia madre, quand’ero piccolo, andava a servizio da una maestra, la signora Di Gioia. Mentre puliva, io stavo seduto da qualche parte e leggevo i libri che c’erano in quella casa o che mi dava la signora. Lessi Cuore di De Amicis. Fu in questo modo che cominciai a leggere».
«Merito della signora Di Gioia».
«Merito della signora Di Gioia, che poi s’innamorò di me… ma questa è tutta un’altra storia».

Il Commissario era curioso, ma conosceva il valore della discrezione e non chiese niente. Del resto non sapeva in che senso era intesa la parola amore. Però non poté non chiedersi se l’amore per la lettura di quell’uomo non fosse legato all’incidenza con l’amore della signora Di Gioia. “Del resto perché saperlo?” si chiese.
«Anzi, a proposito, le racconto un fatto divertente. Il marito della signora Di Gioia per tutta l’infanzia l’ho percepito come un malato: lei e la figlia lo tenevano come una reliquia dentro casa, sorvegliavano quello che mangiava e lo riempivano di medicinali. Io me lo ricordo persino un po’ malfermo sulle gambe, un po’ zoppicante e incurvato. Recentemente sono tornato al mio paese e ho saputo che la signora Di Gioia era morta. Suo marito, invece, che ora ha ottant’anni, mangia e beve come un leone e a vederlo sta anche meglio di prima».
Il Commissario prese a ridere.
«Per trent’anni lo avevano fatto vivere come un moribondo. E alla fine s’era convinto davvero. Poi, morta la moglie, il miracolo» continuò Labile, che si mise a ridere come il Commissario.
«Caro Labile, tutta la nostra vita è un effetto di convalida soggettiva».
«Che sarebbe…».
«Un meccanismo mentale che abbiamo tutti: se per il nostro segno zodiacale è prevista sfortuna iniziamo a vedere tutta una serie di segnali che confermano quell’ipotesi, se una maga ci dice che vivremo il mese più bello della nostra vita ci sembra che tutte le cose che accadono siano una riprova che è vera la profezia». Nel frattempo non poté non domandarsi se, per lo stesso motivo, anche lui non avesse immaginato un omicidio anziché vedere un suicidio.
«Lei sembra Google, Commissario».
«Sono molto più ignorante di quello che sembra. È che queste piccole notizie cretine mi rimangono appiccicate al cervello come insetti sulla carta moschicida. Alla fin fine fanno solo una grande sporcizia».
«Però si vede che lei ha sempre letto. Io, invece, fino ai tredici anni, non ho letto e imparare il valore dei libri a tredici anni è devastante».
«Beh, non credo che si possano leggere molti libri importanti prima dei tredici anni: non è una grande tragedia».
«Non sono tanto i libri non letti a creare il vuoto, quanto quelli che avrei desiderato leggere e che invece non ho desiderato leggere perché non ero nelle condizioni di farlo. È come se mancasse un pezzo di immaginario, un pezzo di cultura personale… non so come spiegarlo a qualcuno che non l’ha vissuto».
«Non è indulgente con se stesso».
«Per niente. Ma fa parte del mio background, della mia formazione anche da militare… dopo tre anni… il culto della precisione, del rispetto, della gerarchia, della famiglia… ma poi mi concedo momenti di alta indulgenza con me stesso che mi permettono di mantenere l’equilibrio».
Il Commissario si domandava spesso se uccidere, uccidere per piacere, fosse un modo per essere indulgenti o severi con se stessi.
«Lei?».
«Io, a differenza sua, sono troppo indulgente con me stesso. Ma sa, siccome devo vivere con Mestesso di continuo, non mi va di scontentarmi: la convivenza diventerebbe impossibile. Se ama tanto i libri ne avrà anche scritto uno».
Labile sorrise, come se quella fosse una vecchia ruggine con se stesso: «Non sono capace di scrivere un libro, ma se lo fossi ne scriverei uno su come si fotte la gente sul lavoro».
«E cosa scriverebbe?».
«Ci si potrebbe fare un seminario di un anno... Sostanzialmente è un gioco di equilibri, di sottili equilibri. E di tempo. E di ritmo. Di tempo in cui si raccolgono informazioni sul lavoro e sulle relazioni che la persona che vuoi fare fuori porta avanti, tempo in cui si dicono piccole frasi al capo per suggerirgli un’idea o una tattica che ti vedano unico beneficiario ma senza che lui se ne renda bene conto. L’equilibrio serve a non aprire uno scontro, che sarebbe troppo scoperto, e a continuare a maneggiare nell’ombra, senza essere sotto i riflettori. In tutto questo c’è bisogno di essere molto stronzi, ma se posso darmi una giustificazione posso dire di essere stato stronzo solo con chi lo meritava».
L’acqua era diventata rada come la barba di un adolescente. E il mare era tornato quasi liscio, ringiovanito dal sole che lo sfiorava. Il Commissario congiunse le dita. Labile prese quel gesto come un segnale a continuare, perché lo stava ascoltando:
«Io credo molto al ritmo. Alle cose che capitano al momento giusto. Ebbene, se tante cose non fossero successe al momento giusto, io ora non occuperei la posizione che occupo. Inoltre, per gestire il tuo capo, che è una cosa delicata, che va fatta spesso sul filo del rischio, sempre sotto la spada di Damocle dello sputtanamento, devi avere il senso del ritmo, che è equilibrio misura e gusto tutt’insieme. Serve un po’ di genio. Per Dalì “geniale” è riuscire a dipingere con un colpo di pennello l’ennesima crocifissione».
«Non si sente un po’ costretto da questo meccanismo?».
Il manager lanciò uno studiato sguardo per aria, come per pensare alla giusta metafora:
«Gaetano Scirea è stato un calciatore importante, campione del mondo nella mitica nazionale dell’’82. Lui giocava da “libero”. Quello del “libero” era un ruolo particolare. Oggi gli schemi del calcio non lo prevedono quasi più. Lui è stato forse uno degli ultimi grandi “liberi” che il calcio italiano abbia mai avuto. Morto giovane per un incidente stradale. Le rispondo quindi che non mi sento particolarmente costretto, non più di altri. Anzi, io sono libero. Libero come Scirea».
Il Commissario sorrise e ammise che quella metafora non gli era per nulla dispiaciuta.
«È piaciuta anche al dottor Marinaro».
«Non sembra tipo da metafore».
«Che intende?».
«Mi è sembrato uno serioso, diciamo pragmatico».
«In effetti... direi che è così, se non fosse che oggi mi ha bidonato».
Il Commissario assunse un’espressione interrogativa.
«Stamattina alle 08.00 mi ha mandato un sms in cui mi chiedeva di incontrarlo al bar per propormi una cosa interessante, alle 10.00 gli ho inviato un sms di conferma, ma non è venuto».
«Ma almeno le ha risposto?».
«No. Anzi, le dirò di più: ho provato a richiamarlo, ma non mi ha risposto. Poi sono anche andato al suo appartamento, ma non mi ha aperto... forse era al mare o da qualche altra parte».
“Non mi è sembrato il tipo che chiede un appuntamento e poi sparisce” pensò il Commissario, annunciando subito dopo «Forse è meglio se andiamo a controllare».
«Crede che sia successo qualcosa?».
«Non lo so, ma voglio andare a vedere».
In quel momento stava arrivando dall’appartamento di Lagri l’Ispettore. Il Commissario gli fece un cenno netto e lo richiamò:
«Ispettore, con me».

Tutti e tre s’incamminarono verso la villa di Marinaro, ma un presentimento faceva accelerare il passo del Commissario, costringendo gli altri due a stargli appresso. Il Commissario bussò una, due, tre volte ma nessuno rispose. Poi provò ad aprire la porta e, con estrema sorpresa, la trovò aperta, perché a differenza delle stanze, i bungalow non avevano la serratura con la scheda, ma quella normale. Marinaro pendeva da una corda di accappatoio legata alla maniglia della porta del bagno, in testa un sacchetto di plastica chiuso intorno alla gola da tanti giri di cerotto telato color carne da non farla nemmeno intravedere.
L’Ispettore prese i guanti di lattice che teneva sempre in tasca e se li mise, quindi ispezionò la stanza stando alla larga dal cadavere. Nel frattempo il Commissario chiamò alla centrale per far venire la solita carovana, quella delle grandi occasioni, che sicuramente – dal giorno prima – non si doveva essere scordata la strada. L’unico che avvertì personalmente fu Vargiu:
«Pronto?».
«Pronto».
«Ciao».
«Ciao».
«Che stai facendo?».
«Sto pescando».
«Ti stai divertendo?».
«Discretamente» la voce del medico iniziava a perdere il buon umore.
«Senti...».
«Non ci credo».
«E invece sì».
«Stai sfidando tutte le statistiche».
«C’è qualcuno che sta fa queste statistiche?».
«Se sentono parlare di te inizieranno a farle».
«In quanto puoi venire?».
«Un paio d’ore, dio ti stramaledica».
«Grazie, presenterò».
«A dopo».
«Ciao».
Labile salutò il Commissario con un cenno e lui gli rispose con un altro cenno che stava a significare ci vediamo dopo. L’Ispettore lo chiamò.
«Guardi qui dottore».
Nascosta sotto tre teli da spiaggia sul fondo dell’armadio c’era una sacca da mare e dentro una massa di banconote. Si guardarono negli occhi.
«Continua a cercare» «Va bene».

Uscì all’aperto e si mise a riflettere: “Nessuno tiene una cifra del genere in giro così. Se fossero stati soldi suoi non li avrebbe tenuti in un armadio. Li avrebbe lasciati nella cassaforte della direzione, ma probabilmente non ha avuto il tempo di portaceli. Ma allora come sono arrivati qui quei soldi? Evidentemente glieli ha dati qualcuno che li aveva prima”. Quindi, ragionevolmente, qualcuno che aveva usato a sua volta la cassaforte della direzione. Chiamò immediatamente il Direttore e gli domandò se uno dei congressisti avesse utilizzato la cassaforte.
«Sì» rispose il Direttore «parecchi».
«Di che genere?».
«Beh, beauty case, portagioie...».
«No, no. Alludo a qualcosa di più grande: una borsa, una valigetta...».
«Ah, certo! Il dottor Antico ha lasciato una ventiquattrore piena di soldi».
«Come fa a dirlo?».
«Mentre me la consegnava, l’ha ripresa per un momento, l’ha aperta e ne ha tirato fuori una mazzetta di banconote. Poi l’ha richiusa con la chiave e la combinazione e me l’ha ridata. E io l’ho messa subito al sicuro».
«Per caso l’ha ripresa?».
L’altro sembrò interdetto: «In effetti l’ha ripresa, giusto stamattina».
«Molto bene, grazie. Ah! A proposito: stanno tornando i miei colleghi, quindi, quando li vede li mandi al bungalow del dottor Marinaro».
Dall’altro lato del filo mancò poco che si sentisse un requiem.
«Come sarebbe a dire?».
«Abbiamo trovato morto il dottore» e riagganciò prima che quello gli si mettesse a frignare al telefono.
“Ora” pensò “devo assolutamente parlare con Antico”.

14-05-2015 | 12:27