Brancusi e la tesi dell'eterna bellezza

Un uomo che estende la sua cultura dall’Antico Egitto alla Cina confuciana, arrivando fino a Dante e Cavalcanti, riesce a cogliere in un’opera moderna, anche la più contemporanea ed inedita, degli echi, delle suggestioni antiche e delle analogie con le forme del passato. Un uomo con una cultura così ampia riesce a cogliere quel filo, estetico e ideale, che tiene legate le diverse arti e le opere d’arte delle più lontane epoche storiche.

Questo accade con Ezra Pound quando analizza l’arte del suo tempo, avendo le immagini e le idee del passato davanti a sé, in un enorme spazio mentale che ha dato forma, inoltre, alla grande impresa dei Cantos, che Eugenio Montale ha descritto come «una enciclopedica epica della storia antica e soprattutto moderna, un universale bazar della vita sotto la specie della poesia». Al contrario dell’avanguardia italiana per eccellenza, il Futurismo, scoppiato in quegli anni con slogan forti e veloci come “bruciare i musei e le biblioteche”, il Modernismo di Pound, Eliot e altri intendeva utilizzare la conoscenza del passato per arricchire quei “vortici” emozionali che potevano portare a una poesia e un’arte davvero moderne.

«Nella logica io scolpisco una tesi dell’eterna bellezza»: con questa citazione di Rémy de Gourmont Pound apre il suo saggio Brancusi, uscito nel 1921 su “The Litte Review” e pubblicato in Italia per la prima volta da Vanni Scheiwiller nel 1957. L’aspirazione dell’arte verso la “perfezione” e il tentativo di creare la propria “tesi dell’eterna bellezza” sono le proposizioni che Pound analizza, e con le quali mette a confronto i differenti tentativi di arrivare alla forma pura.

Pound, non privo di spirito poetico, riesce a scorgere la tendenza spirituale verso la perfezione nelle opere e nella stessa personalità di Constantin Brâncuşi, trovando delle analogie tra la ricerca dello scultore rumeno e “le osservazioni finali della Divina Commedia” o “la contemplazione del Divino Amore da parte di un santo medievale”: si coglie l’esplorazione formale e spirituale che tende a concentrare tutte le forme in una, attraverso uno sforzo monistico, per arrivare alla perfezione.

Ma al di là delle profonde osservazioni e delle acute analogie, Pound conosce l’impossibilità di entrare totalmente nello spirito di un artista: «Nessun critico può pretendere di capire a fondo un artista, io ancor meno pretendo in questa nota di capire Brancusi». Eppure non può fare a meno di parlare di quella ricerca fisica e metafisica che ha portato l’artista rumeno a creare diversi modelli del suo Uccello nello spazio, apparentemente uguali, ma segnati in realtà da anni di esperienza e da un’idea d’arte al contempo semplice e complessa, che trova principalmente nell’intaglio diretto la sua realizzazione.

Le forme devono nascere dalla pietra, dalla materia nella quale vogliono esprimersi e in questo modo la sintesi a cui si giunge quando si termina una scultura è la fine e il fine di quella materia. L’indeterminazione, la complessità confusa del materiale primario, del blocco di marmo o gesso, così come l’iniziale idea complessa, si risolve nella semplicità artistica della sintesi, e infatti, stando allo stesso Brâncuşi «La semplicità nell’arte è, in generale, una complessità risolta». Nella sua serie di Uccelli che egli stesso definì «La gioia dell’anima liberata dalla materia», Brâncuşi cerca di arrivare all’Assoluto tramite gli animali che più esprimono la felicità e la perfezione (si pensi all’Elogio degli uccelli di Leopardi). Ezra Pound riesce a cogliere questa profondità spirituale e questa propensione a soggetti e forme che possono far arrivare alla sintesi. Coglie alla perfezione l’aspetto anti-retorico e anti-monumentale dell’arte e del pensiero brancusiano, e stigmatizza gli aspetti della ricerca della forma pura, di una forma che vuole sfuggire alla forza di gravità, una forma libera che sembra “levitare”.

Per concludere, la riflessione di Pound arriva ad essere una proposta per il futuro, una critica alle bruttezze della modernità e alla “gestione” del “senso della forma”:

«Ma se vogliamo arrivare a una scultura o a un’architettura tollerabile sarà bene che i giovani scultori incomincino con qualche simile sforzo verso la perfezione, piuttosto che con un nuovo Laocoonte o un “Trionfo del Lavoro sul Commercio”. […] Ma poi, Brancusi può passare la maggior parte del suo tempo nel proprio atelier, circondato dalla calma delle sue creazioni, mentre l’autore di questa imperfetta esposizione è costretto a muoversi in un mondo pieno di cianfrusaglie e di ornamenti più che idioti, un mondo dove i quadri sono fatti per i musei, dove nessuno possiede una porta di casa che possa guardare senza nausea, […] dove ogni anno si costruiscono case comuni sempre più brutte e dove il senso della forma, che dovrebbe essere diffuso quanto il senso di freschezza dopo il bagno o il piacere di bere in tempo di siccità o come qualsiasi altro chiaro piacere animale, è il raro possesso di una (Dio ce ne scampi e liberi) “aristocrazia intellettuale”».

 

 

09-01-2015 | 17:35