Anche le scrittrici bevono

Il rapporto d’amore tra alcool e scrittori è un tema spesso ricorrente e a volte abusato. In molti saranno a conoscenza delle avventure ai limiti vissute da Ernest Hemingway, Francis Scott Fitzgerald e Truman Capote. Questi tre famosi autori, insieme ad altri, rientrano a pieno titolo nella categoria degli alcolizzati.

Ma tra le scrittrici donne il fenomeno ha avuto la stessa rilevanza?

Se ne parla meno ma non mancano gli esempi di autrici impegnate in veri e propri tour de force alcolici. Il fascino della bottiglia e le problematiche ad esso legate hanno colpito tutti senza discriminazioni di genere. Un breve viaggio può condurre il lettore in un mondo al femminile fatto di lotte interiori, arresti, relazioni familiari complesse e scappatelle umilianti.

Si parte con Marguerite Duras, pseudonimo di Marguerite Germaine Marie Donnadieu, scrittrice e regista francese che fin dal primo drink ha capito di essere un’alcolizzata in piena regola. È la stessa Duras a raccontare le sue abitudini: "Bevevo perché ero alcoolizzata, ogni ora un bicchiere di vino e poi il Cognac dopo il caffè mattutino. È sorprendente quanto sono riuscita a scrivere nonostante tutto".

In effetti il suo modo di scrivere elegante ma appassionato, ritmico e di grande impatto visivo ha mantenuto un’austerità classica. Lo stile, definito da continue riformulazioni ossessive, ci fa tornare ad un’infanzia di violenza e paura. Questo modus operandi la porterà a raccontare le stesse storie più volte oscillando tra l’erotismo, il romanticismo, la brutalità e il grottesco. L’alcool usato come anestetico o come arma contro la vergogna rispecchia in toto il suo modo di vivere e scrivere.

I fattori ambientali influenzano sicuramente l’alcolismo ed Elizabeth Bishop, Pulitzer per la poesia nel 1956, ne è una prova evidente.

Dopo un’adolescenza a dir poco complessa scopre l’alcool al college, nel tentativo di avere una vita sociale maggiormente disinibita. Al tratto consueto della vergogna si aggiungeva qui quello dell’identità sessuale. Essere lesbica in un periodo in cui questo non era accettato, ma anzi sanzionato, la portò in Brasile, dove ha convissuto con la partner. Pur trascorrendo qui i suoi anni più tranquilli l’ubriachezza è rimasta, rinchiudendola in un mondo sfumato e confuso. Il declino fisico non le ha impedito di scrivere brillanti ritratti di alcolizzati, impegnati a spiegare razionalmente la loro voglia smisurata di bere.

Patricia Highsmith, il suo Sconosciuti in treno diventerà soggetto del film L’altro uomo di Alfred Hitchcock, in un suo diario è molto chiara nello spiegare che il suo rapporto con l’alcool le permette di "vedere la verità, la semplicità e le emozioni primitive ancora una volta". I suoi pomeriggi passati nel letto con la bottiglia di gin, dopo aver bevuto almeno due bicchieri di vino, sono memorabili.

I comportamenti in vita passano fluidi nel suo personaggio di certo più famoso: Tom Ripley, protagonista del Talento di Mr.Ripley. Non un semplice ubriacone ma anche un paranoico con il bisogno continuo di sfuggire al senso di colpa costante; atmosfera ansiogena e sventure sempre dietro l’angolo sono dunque tematiche familiari nelle opere della scrittrice.

Jean Rhys, autrice di Il grande mare dei sargassi, infine racchiude definitivamente ipocrisie e pressioni che stanno dietro al rapporto tra alcool e scrittrici. La sensazione continua di annegare, la volontà di trovare un amore vero per ricercare la sicurezza economica porteranno l’autrice a cambiare continuamente nome. Questo tentativo di ricostruirsi a seconda del momento ritorna nelle sue opere, spesso incentrate su donne lasciate naufragare da una società grigia e crudele. Qui gli alcolici diventano il modo più naturale per non affrontare i problemi, creando una confusione volontaria. Il buco nero mentale, tra ospedali psichiatrici e aggressioni, non le ha comunque impedito di continuare a bere e a scrivere.

Si crea così un paradosso centrale nella vita della scrittrice alcolizzata. Il ‘mal di vivere’ e l’incapacità nell’affrontare le tante difficoltà si unisce ad una capacità eccelsa di scrivere su questi stessi temi, trasformando spesso l’autocommiserazione in una critica spietata.

Questa consapevolezza, a tratti irrimediabilmente selvaggia e confusa, ha dato vita a veri propri capolavori letterari anche sul versante femminile della letteratura. 

 

 

26-06-2014 | 12:01