Viaggio nell'incanto della Borgogna

Ci piace raccontare storie. E questa è una delle più affascinanti e suggestive. Qui si parla di quella magica lingua di terra verticale che accompagna il dolce inizio delle colline esposte al nascere del sole, nella celebre Côte d’Or. E poi, percorrendo idealmente la statale 74 in direzione nord, la Côte de Nuits.

Non si nasce appassionati di Borgogna come si nasce benestanti. La seduzione della Côte de Nuits inizia prima, molto prima. Comincia un giorno ormai remoto, quando abbiamo per la prima volta odorato il profumo del vino. Probabilmente nemmeno si sapeva cosa fosse la Borgogna, e nomi come Chambertin e Musigny si sarebbero facilmente scambiati con quelli di molli formaggi francesi. I primi passi enologici si sviluppano infatti in direzioni diverse: le più facili, le più immediate, marcate ed evidenti. Dai vini frizzanti a quelli aromatici, da quelli molto ricchi e muscolosi agli orange radical-chic naturali e biodinamici.

Tutti hanno avuto, nella propria evoluzione del gusto, un avvicendamento con altre tipologie di vini ma la méta fisiologica se ne sta là, in quel piccolo fazzoletto di terra compreso tra Nuits-Saint Georges e Gevrey-Chambertin.

E tutta la magia è nella terra, appena sotto il primo strato abitato dai lombrichi; una faglia calcarea di componenti frammiste. C’è l’argilla in diversi impasti, c’è il ferro che dà colore alle uve, c’è la sabbia, c’è la ghiaia, i minuscoli sassolini, ci sono i sali a dare linfa alla pianta e ci sono migliaia di gusci di ostrica che un tempo immemore fa, qui dimoravano, qui che era un mare.

Fratture createsi in seguito a terremoti che hanno determinato nel tempo (millenni) significative differenze anche a pochi centimetri di distanza. Un fosso, una spaccatura del terreno, un passo d’uomo, possono rappresentare una discrepanza temporale di milioni di anni all’origine e conseguenti sfumature molto significative nei vini.

Nuits Saint Georges è il più grande comune della Côte de Nuits da cui prende appunto il nome. La sua fama è mondiale e sebbene nelle sue vigne non sia presente nessun Grand Cru, si trovano alcuni Premier Cru come Saint Georges, Aux Boudots e Les Pruliers davvero avvincenti. Esistono 46 cloni diversi di Pinot Noir e senza dubbio quelli più ricchi in sostanze coloranti, polifenoli li troviamo qui. I vini di Nuits sono impregnati di spezie, di calore e, sempre nel rispetto della varietà, di tannini. Prieur Roche, Thibault Liger Belair e Jean P. Mugneret sono tra i più rappresentativi della denominazione: da non mancare.

Solo tre chilometri ci separano da Vosne-Romanée, il più celebrato paese del mondo del vino. Innumerevoli visitatori ogni anno si avvicinano alla croce del più unico e straordinario vigneto esistente con un religioso silenzio. Un museo a cielo aperto, in cui trovano spazio architettura, artigianalità e cultura; ma anche studio, lavoro e tradizione. Romanée Conti non è certo solo un ettaro abbondante di vigna, ma il frutto di una evoluzione sinergica tra uomo e vite che in questo sito ha trovato un irraggiungibile picco.

I vini sono tra i più austeri e longevi della regione, necessitano di tempo e di spirito di osservazione. Tra i Grand Cru, oltre all’inaccessibile Romanée Conti, memorabili La Tache, Romanée Saint Vivant, Richebourg, Grand Echezeaux ed Echezeaux. Rari ma emozionanti i Premier Cru Malconsorts e Aux Brulées.

Discorso a parte per il più frazionato vigneto del mondo, il Clos Vougeot dove le differenze di interpretazione possono regalare sorprese non sempre positive. Domaine de la Romanée Conti a parte, ricordiamo Domaine Leroy, Comte Liger Belair, Robert Arnaux, Emmanuel Rouget e Meo Camuzet testimoni e interpreti odierni della vigna Cros Parantoux, simbolo paradigmatico della viticoltura borgognona di Henry Jayer.

Ancora tremila metri e spunta l’estrema, seducente bellezza di Chambolle-Musigny. Più piccolo dei precedenti, 300 abitanti, praticamente tutti convolti nel mondo del vino. Il villaggio ideale, verrebbe da pensare, un Grand Cru sublime, Musigny, uno condiviso con Morey Saint Denis, il Bonnes Mares e un Premier Cru folle e meraviglioso, Les Amoureuses.

Un produttore su tutti, Georges Comte de Vogüé, re incontrastato di questa denominazione mantiene anche una piccolissima parcella di Musigny Blanc, l’unico Grand Cru bianco della Côte de Nuits. Inoltre Roumier e Amiot-Servelle a completare il quadro con il Premier Cru Charmes.

Morey-Saint Denis è un centro diverso. È il villaggio delle vigne recintate, dei Clos, come avviene nelle più interessanti vigne di Champagne: Clos de Lambrays, Clos de Tart, Clos Saint Denis e Clos de la Roche. Alcuni di questi sono effettivamente o praticamente dei Monopole (cioè un Grand Cru per intero appartenente a un'unica cantina) come Clos de Tart e Clos de Lambrays, altri sono condivisi tra più produttori come Clos de la Roche di cui indiscutibilmente Ponsot rappresenta la vetta qualitativa nel suo “vecchie vigne”.

Oltre ai due Monopole, Domaine de Lambrays e Mommessin per il Clos de Tart, ricordiamo Domaine Ponsot appunto, Domaine Dujac e Perrot-Minot.

Pochi minuti ci separano da Gevrey-Chambertin, altro inimitabile tassello di questo magico mosaico. I suoi più celebri Grand Cru, semplicemente Chambertin o Chambertin Clos de Béze brillano come stelle incontrastate nell’olimpo dei vini più fini e complessi del mondo. Si racconta che questo fosse il vino preferito da Napoleone, e a noi piacerebbe pensare che i nostri politici e governanti di oggi potessero avesse dei gusti altrettanto raffinati, ma ne dubitiamo.

Le cantine qui non si contano essendo una delle più estese AOC e con alcune tra le vigne più significative. Armand Rousseau merita una menzione speciale, così come Domaine Trapet, Rossignol Trapet, Claude Dugat, Dugat Py, Denis Mortet.

Il lampone di bosco appena maturo, labbra di donna: il fascino è qui, tutto il resto è altrove.

 

 

21-10-2015 | 11:01