Un giorno gli alberi si misero in cammino/2

Il mito degli alberi, da sempre diviso tra fisiognomia prossima all’uomo e oggetto di culto e venerazione. Quando si studiano le religioni del passato, infatti, sovente ci si imbatte in esempi di culto resi agli alberi, che, appunto, venivano considerati sacri. E tra tutti gli alberi svetta una figura, quella del più venerato di essi, l’Albero cosmico: un albero gigantesco, apparso molto prima che l’uomo facesse la sua comparsa sulla terra, che s’innalzava fino al cielo attraversando i tre mondi. Le sue radici affondavano negli abissi sotterranei e i suoi rami arrivavano all’empireo. Con la sua verticalità questo albero assicurava un nesso tra l’universo e il baratro. L’albero cosmico lo ritroviamo, come ha notato Jacques Brosse, in quasi tutte le tradizioni, da un capo all’altro del pianeta. E proprio per questo è lecito supporre che sia esistito dappertutto, anche là dove la sua immagine è cancellata.

Il ricordo più grandioso che sia giunto fino a noi di questo albero mitico si trova nei testi tradizionali della mitologia germanica, come sono stati trascritti nel Medioevo. Nell’Edda che porta il suo nome, Snorri Sturluson, statista e scrittore islandese, vissuto a cavallo tra XII e XIII secolo, fornisce una celebre descrizione del gigantesco frassino Yggdrasill. “È il più grande e il migliore degli alberi. I suoi rami si stendono al di sopra di tutti i mondi e raggiungono il cielo. Tre radici lo tengono eretto, tutte straordinariamente larghe”. E tra i rami del frassino si svolge un verso dei canti eddici: Lo so che sono stato appeso/al tronco del vento/nove intere notti./Da una lancia ferito/E sacrificato a Odino/Io a me stesso.

Nelle parole di Odino, la principale divinità della religione e della mitologia germaniche, come fa il pensiero a non correre a Gesù, appeso al legno della croce, col cuore trafitto dalla lancia del centurione? Ancora Brosse fa notare come, in passato, si sia creduto che il racconto del sacrificio di Odino fosse stato ispirato dalla Passione di Cristo. Tutto questo serve per capire, ancora una volta, come l’albero appaia nei secoli il supporto più appropriato per qualsiasi fantasticheria cosmica: davanti all’albero che unisce due infiniti opposti, che congiunge le due profondità simmetriche e di senso contrario, l’impenetrabile materia sotterranea e l’inarrivabile cielo luminoso, l’uomo non può non sognare. Così come non può non sentirne i movimenti interni se solo si appoggia al tronco. Sensazione che Rainer Maria Rilke ha raccontato in modo ineccepibile:

“Era come se, dall’interno dell’albero, vibrazioni quasi impercettibili si fossero trasmesse a lui. Gli pareva che mai movimenti più dolci lo avessero animato. (…) A questa impressione si aggiungeva il fatto che, nei primi momenti, non riusciva a definire con esattezza attraverso quale senso ricevesse un messaggio così tenue e così esteso al tempo stesso. (…) Mentre si sforzava di rendersi conto appunto delle più tenui impressioni, si chiese con insistenza che cosa gli stesse succedendo e trovò quasi immediatamente un’espressione che lo soddisfece dicendo a se stesso che era trasportato dall’altro lato della natura”. 

Spostando il punto del nostro interesse in India l’albero cosmico della mitologia era chiamato Asvattha: presente già molto prima della venuta del Buddha, era l’albero ascensionale per eccellenza. Lo era forse prima dell’epoca della civiltà preariana dell’Indo, la prima civiltà nota dell’India, riscoperta dagli archeologi all’inizio del ventesimo secolo. Albero ascensionale che però, il più delle volte, è rappresentato rovesciato, con le radici che affondano nell’empireo e i rami che coprono completamente la terra. L’albero con le radici in alto e la punta rivolta verso il basso fa parte del simbolismo universale. Lo si trova presso i Lapponi e gli aborigeni australiani, sia nella tradizione islamica e anche in Dante: “...in questa soglia/dell’arbore che vive della cima,/e frutta sempre, e mai non perde foglia”.

(continua)


 

08-12-2013 | 16:45