Un caffè a Bagdad

Da un paesaggio surreale, duro e splendido, prende vita una storia fra le più visonarie e suggestive del cinema di fine anni ottanta. Ci troviamo nel cuore del deserto del Mojave, a qualche centinaia di chilometri da Las Vegas, dove il blu del cielo è blu da far male e il giallo della terra brucia anche solo a guardarlo. Nel mezzo di questo immenso paesaggio silenzioso, c'è il Bagdad Cafè, gestito da Brenda, una rude afroamericana, e dal suo piccolo circo di parenti e amici, più o meno disgraziati o bizzarri. A scompigliare una routine di silenzi brevemente intervallati dalle tipiche discussioni di chi vive in un microcosmo di solitudini satellitari, arriva la splendida protagonista, Jasmin, quarantenne bavarese abbandonata dal marito ad una pompa di benzina lì vicino. Jasmin sembra uscita da un quadro di Botero, meravigliosa; enorme eppure leggerissima, si muove come una farfalla esotica fra le sterpaglie della miseria e della solitudine del luogo irradiando una luce quasi mistica.  Entrata in punta di piedi, all'inizio quasi relegata in una squallida stanzetta del motel, e guardata con sospetto da tutti, conquista rapidamente i disadorni cuori di chi le si avvicina, restituendo ad ognuno la grazia nascosta da anni di ruvida quotidianeità. Anche Brenda subirà una metamorfosi eccezionale ritrovando intatti i sogni della giovinezza, grazie alla morbida eppure inarrestabile energia della misteriosa ospite teutonica. Il cast è brillante, a cominciare dalla protagonista, Marianne Sagerbrecht, e dall'incredibile faccia di cuoio Jack Palance, Rudi Cox nel film, anziano ex sceneggiatore del cinema passato alla pittura, che dipingerà ritratti di Jasmin man mano sempre più ricchi d'incanto e che se ne innamorerà dolcemente, fino a decidere di chiederla in sposa, permettendole così di diventare parte della sgangherata e indimenticabile famiglia del Bagdad Cafè. Al centro del film un messaggio femminista dei più belli, che vede nella solitudine e nella disperazione di due donne di mezza età, diversissime fra loro, una possibilità di crescita e di grande forza nel momento in cui la Bellezza, disarmante e inaspettata, prenderà il sopravvento. Una delle scene più emblematiche e memorabili è senza dubbio quella dello spettacolo di magia che la protagonista mette in scena con i frequentatori del bar, decisamente poco avvezzi all'arte e alla tenerezza eppure pronti a trasfigurarsi senza remore, come se non avessaro fatto altro nella vita. Ma quando penseremo a questa storia, sicuramente fra le prime immagini che ci torneranno alla mente ci sarà Jasmin che cammina sotto un sole che sembra mangiare dentro, sulle note della struggente “Calling you” di Javetta Steele: enorme, piccolissima, distrutta e magnifica, con la valigia dei sogni e della speranza a indicare la strada. (Bagdad café, Percy Adlon, 1987).

13-10-2013 | 23:56