Tavecchio tra banane e pedigree

Riepilogando. La Federazione italiana giuoco calcio, la massima istituzione italiana di governo del gioco del pallone – uno sport che è la quinta industria del Paese – nei prossimi giorni dovrà eleggere il suo nuovo presidente. Un’elezione importante vista ladébâcledella Nazionale ai mondiali e il desiderio – bipartisan, come si dice – di rinnovare l’intero “sistema calcio” italiano. In lizza ci sono due persone: Demeterio Albertini, 43 anni, ex illustre calciatore di Milan e Nazionale, e tal Carlo Tavecchio, 71 anni, dirigente sportivo, presidente del calcio dilettantistico e favoritissimo alla vittoria. Questa articolessa di oggi non si occuperà dei problemi della federazione giuoco calcio – anche quella “u” la dice lunga sul tasso di modernità della questione – ma dei grotteschi aspetti antropologici che aleggiano intorno alla figura del signor Tavecchio.

Nei giorni scorsi, e ancora oggi, imperversa una forte polemica intorno a questo signore per una frase ormai tristemente famosa, pronunciata nel discorso di candidatura, e riguardante un problema sui giocatori extracomunitari, nella fattispecie immaginiamo africani. Eccola, letterale: “L’Inghilterra individua dei soggetti che entrano se hanno professionalità per farli giocare, noi invece diciamo che Opti Poba è venuto qua, che prima mangiava le banane, e adesso gioca titolare nella Lazio. E va bene così… in Inghilterra deve dimostrare il suo curriculum e il suo pedigree”. Da qui, giustamente, il putiferio: titoli sui giornali, smentite, razzismo, contro-smentite, richiesta di chiarimenti da Uefa e Fifa, avvocati difensori, – caso singolare, il Tavecchio non ha invocato la formula di aver pronunciato la frase “a sua insaputa” – e infine la dichiarazione che doveva sedare le polemiche: “non è razzista, ha fatto tanto per l’Africa”.

Crediamo in fiducia che il Tavecchio non sia razzista – nonostante l’accoppiata banana-pedigree uguale scimmia, o insomma animale – ma ci chiediamo cosa sarebbe accaduto in qualsiasi altro Paese, e non solo tra quelli a democrazie compiute, dopo queste parole? Facile, sarebbe stato accompagnato alla porta dalla federazione con un “grazie, le faremo sapere” e poi di lui si sarebbe persa ogni traccia. Ma in Italia no, anzi, con l’appoggio del vecchio mondo del calcio, quello che non vuole cambiare una virgola, il Tavecchio rischia ugualmente di essere eletto presidente.

Nei giorni successivi alla frase incriminata, poi, sono emersi altri inciampi del nostro che la dicono lunga sul soggetto. Il primo: durante un ragionamento volto al rilancio del calcio femminile: “Siamo protesi a dare dignità, anche sotto il profilo estetico, della donna nel calcio” con la giornalista intervistatrice che chiede “In che senso sotto l’aspetto estetico?” e lui “Eh, perché finora si riteneva che la donna fosse un soggetto handicappato rispetto al maschio…”. Il secondo: Renzo Ulivieri, presidente dell’associazione allenatori, ha dichiarato di aver ricevuto in passato una proposta dal Tavecchio per il calcio femminile che per titolo aveva “Spogliati e gioca”. Servono commenti?

Questi i fatti, ora veniamo ai motivi per i quali diventa inaccettabile che una persona che si esprime in questo modo venga eletto presidente della Figc.

1)   Perché, come diceva un vecchio adagio, “chi parla male, pensa male”. E per riformare un ambientino come il calcio italiano ci vuole un che pensi bene e parli meglio.

2)   Perché un presidente che ha fatto un’uscita così sgradevole, domani non potrebbe essere credibile quando il primo cretino – e giuriamo che ci sarà – lancerà una banana dagli spalti indirizzata a un giocatore di colore. O se continueranno i buuuu razzisti di alcune tifoserie deficienti.

3)   Perché domai qualsiasi bambino, piccolo o grande che sia, potrà rivolgersi in modo razzista a un suo avversario e dire che “se l’ha detto il presidente posso dirlo anch’io” e poi ritrattare la sua posizione dicendo che in passato ha fatto una donazione per il problema della fame in Africa. Il vertice di un’istituzione dovrebbe dare l’esempio.

4)   Perché se scappa la parola “handicappata” riferita alla condizione femminile o viene in mente un titolo come “Spogliati e gioca” – qui ci mancava il finale “femmina!”, con punto esclamativo – o non hai il cervello connesso alla favella o sei proprio da trattamento sanitario obbligatorio.

5)   Perché, si noti, tale linguaggio denota un posizionamento lontano da una cultura matura, dove si dice “uomo” e “donna”, e molto prossimo alla natura primordiale, dove si usa ancora “maschio” e “femmina”. E se non si “abita” la cultura della propria civiltà, del proprio tempo, ma quella del sistema primitivo delle cose non si può ricoprire quel ruolo.

6)   Perché se sei stato un sindaco democristiano del natio Ponte Lambro per quattro mandati significa che somigli molto a quel vecchio establishment (sic!) dei presidenti Figc che con Antonio Mattarese, cinque legislature come deputato della Dc, Giancarlo Abete, tre legislature con la Dc, e Franco Carraro, già sindaco di Roma e ora parlamentare di Forza Italia, rappresentano, appunto, il “vecchio”.

7)   Perché se la tua candidatura è sostenuta dalla maggioranza del mondo del calcio che a parole vorresti riformare, con nomi come Lotito e Galliani in prima fila, inevitabilmente non potrai rottamare lo stesso sistema che ti ha portato lì.

8)   Perché nell’era della comunicazione iperbolica, come diceva il sociologo Marshall McLuhan, “Il medium è il messaggio”. Quindi oggi, nel tempo dell’informazione istantanea, dei social media, se vuoi fare il presidente o sai parlare o stai a casa.

9)   Perché solo nel linguaggio del bar dello sport – ultimo avamposto machista in cui gli avventori si danno di gomito, spesso con emissioni gutturali senza congiuntivi – una frase come quella del Tavecchioresta solo “una frase, certo infelice, ma pur sempre solo una frase”. Nei posti strutturati, come dovrebbero essere le istituzioni, una frase dovrebbe essere il terminale di un pensiero, non di un rutto.

10)  Perché la locuzione latina Nomen omen, che significa “il nome è un presagio”, deriva dalla credenza degli antichi che nel nome della persona fosse indicato il suo destino. Per questo è difficile che Ta-vecchio possa incarnare “il nuovo”.

 

 

01-08-2014 | 15:02