Riflessioni su James Bond

Con molta probabilità James Bond è il personaggio cinematografico più famoso al mondo, la serie di film prodotta dalla EON dal 1962 a oggi è la più longeva della storia del cinema. Un mito assoluto, un concentrato ipersimbolico di paure e speranze dei tempi che ha attraversato e descritto.

Il James Bond cinematografico, che in 23 film ufficiali e 2 apocrifi è stato interpretato da 5 attori diversi nell’arco di oltre un cinquantennio, è molto diverso dall’agente segreto dei romanzi di Ian Fleming dal quale è stato tratto. Se il bond letterario è un agente segreto cupo e tormentato, quello cinematografico apparso nelle sale per la prima volta nel 1962 è stato subito caratterizzato dal fascino travolgente e ammaliante dello scozzese  Sean Connery, attore che più di ogni altro ha saputo stabilire i canoni dell’agente del MI6 che ama le donne, i Vodka-Martini shakerati non mescolati e la bella vita.

Con lo sconosciuto australiano George Lazenby in Al servizio segreto di Sua Maestà del  1969  produzione e regia hanno cercato, con scarsissimo successo, di riportare il personaggio cinematografico a essere più fedele all’originale di Fleming,  Ma la cosa non piacque al pubblico che trovò Lazenby uno 007 troppo complesso e triste, lontanissimo dal suo predecessore. Lazenby  fu un Bond  per certi versi troppo “umano”, tanto che in questa pellicola si sposa per poi restare presto vedovo. E fu così che a furor di popolo fu richiamato Connery per intrepretare ancora un altro capitolo della saga.

Nel 1973, con l’inglese Roger Moore, si riuscì finalmente a trovare un degno successore al divo assoluto Connery. L’agente segreto impersonato da Moore era una simpatica canaglia, donnaiolo spaccone, dalla battuta sempre pronta, uno 007 guascone e irriverente. I Bond degli anni ’70, e della prima metà degli anni ’80 del secolo scorso, andarono nella direzione di divenire pellicole sempre più improntate a soddisfare il grande pubblico:  furono grandi successi di botteghino ma si venne a perdere la dimensione del pericolo e dell’azione dei primi film della serie. Nel 1987 e nel 1989 ancora una volta produzione e regia tentarono invano di proporre un Bond vicino ai canoni dei romanzi di Fleming, scelsero il glaciale e tenebroso inglese Timothy Dalton, ma pubblico e critica non gradirono neanche questo 007, algido e poco espressivo. Con gli anni ’90 arrivò un Bond che seppe lasciare il segno, l’irlandese Pierce Brosnan. L’affascinante attore seppe combinare uno charme dimenticato dai tempi di Connery, a una simpatia sulla falsariga di quella di Moore. Non mancarono però critiche da parte di chi lo considerò (almeno nel primo 007 da lui interpretato) un agente segreto troppo sofisticato e dai modi troppo affettati.

Il nuovo giro di boa arrivò nel nuovo millennio con “Casino Royale” del 2002, e questa volta il terzo tentativo di incarnare un Bond che combinasse fascino e tormento interiore riuscì. L’inglese Daniel Craig divenne un’icona planetaria. Uno 007 dall’aspetto nordico ma non algido, un grande attore capace di miscelare aspetti drammatici e triviali dell’agente segreto che ha intrepretato per tre volte, e che nuovamente riporterà sullo schermo nel novembre del 2015.

Ma la saga dei film su 007 è anche un valido strumento per capire come si sono evolute le paure della società americana, e occidentale in genere, nel corso dell’ultimo cinquantennio. Se James Bond è nato dalla fantasia di Fleming come figlio legittimo della guerra fredda, è divenuto poi un’icona che ha esplorato le ansie geopolitiche di varie generazioni. Dal terrorismo al crimine organizzato, dalla minaccia delle armi atomiche alle catastrofi economiche ed ecologiche, dal potere incontrollato dei media a quello delle industrie biotecnologiche.  La geopolitica del mondo di 007 è un territorio vasto e cangiante. I nemici di Bond dei primi film della saga ultracinquantennale non potevano che essere i sovietici, alternati dall’oscura Spectre, organizzazione criminale-terroristica sui generis.  Le trame si sono poi sviluppate seguendo le ansie e le preoccupazioni geopolitiche del momento. Sembra che anche i sovietici (quelli reali) si fossero interessati a questo personaggio di celluloide non poco durante la guerra fredda.  Un ex agente Kgb di servizio a Londra rivelò 12 anni fa che tra i suoi compiti di spia vi era quello di trasmettere copie dei film al Politburo del Partito Comunista Sovietico, e fornì particolari di come i servizi segreti volessero studiare le ultime invenzioni di Q, il creativo inventore dei gadget bondiani tanto letali quanto alle volte strampalati e farseschi.

Ma con la fine della guerra fredda i sovietici si trasformano da nemici spietati a compagni d'avventura e Bond addirittura riceve l'Ordine di Lenin, la più alta onorificenza nazionale dell'Unione Sovietica. Ma la guerra fredda non è certo l’esclusivo tema geopolitico dell’universo bondiano delle origini. Armi chimiche e batteriologiche sono una minaccia costante nei film di James Bond, minaccia che proviene generalmente dalla potentissima Spectre, una organizzazione criminale privata e totalmente indipendente dalle superpotenze di allora. Il parallelismo con la minaccia terroristica di Al Qaeda e col crimine organizzato di oggi è quasi inevitabile, anzi fu addirittura una profezia: quando tutti gli analisti politici internazionali erano focalizzatati sulle minacce provenienti da Stati dal potere distruttivo apocalittico, nel mondo di James Bond diventarono pericolose antagoniste associazioni private e transnazionali, difficilmente controllabili con i mezzi a disposizione degli Stati e sicuramente non affrontabili con strategie belliche convenzionali. Non mancano nemici come tirannici dittatori di microstati caraibici o estremo orientali, folli scienziati con manie di grandezza, ricchissimi magnati con brame di distruzione globale.

Ma dal crollo del muro di Berlino James Bond si trova ad affrontare le nuove minacce su scala planetaria: avidi narcotrafficanti, folli magnati dell'informazione, tecnologie avveniristiche in grado di costituire una minaccia globale. Nel 2002, in “La morte può attendere” Bond deve affrontare per la prima volta  i nordcoreani, proprio quando l’ex Presidente degli Stati Uniti George W. Bush li incluse nel famigerato “asse del male” insieme a  Iran, Iraq e Siria. Questi continui adattamenti alla realtà del proprio tempo, che hanno fatto dell’agente britannico uno dei personaggi di fantasia più famosi della storia del cinema, lo hanno trasformato in un personaggio atemporale che cambia volto, aspetti della sua storia personale e professionale, ma che mantiene caratteristiche che sono diventate veri e propri leitmotif: il suo amore per il gentil sesso, il suo stile elegante, e la sua totale dedizione alla difesa del suo paese. Ma la geopolitica dei film di James Bond, per quanto sempre molto aggiornata, è stata spesso estremamente semplificata. È stata un universo in bianco e nero che non lasciava spazio alle tante sfumature della politica internazionale e men che meno alla diplomazia. Se Bond compiva una missione in India o in Messico o in Grecia, gli agenti locali erano assenti o totalmente incompetenti. Della presenza dei governi stranieri non vi era mai la minima traccia, così come delle Nazioni Unite o di ogni altra organizzazione internazionale.

Ma dagli anni ‘90, la geopolitica bondiana si complica e diviene più vicina a quella reale. Tradimenti, complotti e doppi giochi divengono tematiche costanti nel mondo di Bond, e ormai sono sempre più centrali alle trame dei film interpretati magistralmente da Daniel Craig, creando un Bond post  11 settembre 2001. Ed è proprio da questa data fatidica che anche il supereroe creato da Fleming diviene più umano e sicuramente non più invincibile: 007 non è più un superuomo capace di rimanere sempre indenne a sparatorie, esplosioni e incidenti di ogni tipo, è per la prima volta un essere umano che sanguina se viene ferito e che può addirittura morire. A questa trasformazione di bond hanno sicuramente influito i fatti dell’11 settembre, data nella quale il mondo occidentale ha capito quanto fosse illusoria la propria presunta intoccabilità. E la vanagloriosa invincibilità della quale si beava scioccamente da troppo tempo.

(fine prima parte)

 

 

06-09-2014 | 00:22