Questo è il papà degli zombie

La serie televisiva più vista degli ultimi anni negli USA, arrivata alla quinta stagione, e in procinto di subire lo spin off di un'altra serie, The Walking Dead, è senz'altro il telefilm di genere horror che più ha saputo entusiasmare milioni di telespettatori in tutto il mondo. Ma il filone horror dedicato ai morti viventi deve la sua nascita e sviluppo a colui che è considerato all'unanimità il “padre degli zombie”: George A. Romero. Il grande regista però ha sempre preso le distanze da questa serie di successo, rifiutando sdegnosamente la regia di un paio di puntate che gli era stata offerta e definendo The Walking Dead “solo una soap opera con qualche zombie”.

Il regista statunitense di origini cubane è stato capace di creare, fissare e innovare un filone cinematografico che ha vissuto negli ultimi 40 anni diversi alti e bassi, nonché altrettante evoluzioni stilistiche e narrative. L'opera filmica di Romero sugli zombie ha raggiunto ben 6 pellicole che hanno attraversato tutta la seconda metà del ventesimo secolo e i primi anni di quello nuovo, più precisamente dal 1968 al 2009. Ma ben oltre alla tecnica cinematografia romeriana, capace di portare l'orrore a vette che pochi altri registi del genere avevano mai raggiunto.

I film di Romero si caratterizzano e differenziano da The Walking Dead proprio per una feroce, quanto lucida, critica sociale e politica ai mali che affliggono gli Stati Uniti D'America. 

Nel primo capitolo della saga “La notte dei morti viventi”, girato con attori non professionisti e mezzi tecnici di fortuna, Romero punta il dito verso una società americana perbenista e bigotta, ipocrita e razzista. Proprio il razzismo è l'elemento centrale del film, il protagonista, un uomo afro-americano interpretato da Duane Jones, oltre che dai famelici morti viventi, si deve difendere dalla diffidenza e dall'ostilità dei bianchi che non tollerano la sua leadership sul gruppo di sopravvissuti. L'apocalisse zombie diviene un crollo delle certezze di una società moderna che su false certezze si basa. Lo zombie non è un essere soprannaturale, ma una persona comune che, rianimandosi dopo la morte, diviene un mostro affamato di carne umana, mentre i sopravvissuti sono spiazzati dalla necessità di doversi difendere sia dal collasso dell'ordine sociale, sia dai parenti e vicini di casa mutatisi in morti viventi.

Successivamente, col secondo capitolo, il cineasta si scaglia contro il consumismo che stava raggiungendo il suo culmine proprio alla fine degli anni '70 e l'inizio degli anni '80. “L'alba dei morti” considerato il suo capolavoro, ci mostra un'America sfavillante, ma frivola e vuota, dove l'accumulazione dei beni materiali rimpiazza la perdita dei valori fondamentali.

Col terzo capitolo il regista newyorkese ci mostra un mondo dove i sopravvissuti sono ormai ridotti a sparuti e isolati gruppi, e mette in scena una feroce satira al potere di una società autoritaria e militarizzata. I soldati sono infatti dipinti da Romero come arroganti, ignoranti e prepotenti. Fatto curioso è l'introduzione del personaggio di uno zombie “buono” capace di ricordare la sua vita precedente e di provare sentimenti.

Il quarto capitolo all'alba del nuovo millennio è sicuramente quello in cui l'elemento della satira verso la politica americana del tempo si fa più forte. Una consistente comunità di sopravvissuti ha eretto infatti una città-fortezza in cui la società è accentuatamente gerarchizzata e suddivisa in caste, e dove il leader ricorda palesemente la figura del presidente George W. Bush, mentre gli zombie rappresentano la massa degli esclusi e degli emarginati dalla società stessa. In questo film Romero parteggia a chiare lettere per i morti viventi, che presa coscienza della loro misera condizione espugnano la città-fortezza. Il quinto capitolo “Le cronache dei morti viventi” è caratterizzato invece da una decisa presa di distanza del regista della società mediatica e della spettacolarizzazione della violenza. Mentre l'ultimo film di Romero sui morti viventi del 2009 “L'isola dei sopravvissuti” chiude invece il cerchio ricollegandosi alla sua opera di 41 anni prima focalizzandosi ancora una volta sulla follia dei vivi che di nuovo si scontrano tra loro perché incapaci organizzarsi di fronte alla minaccia degli zombie, ed esplorando ancora le tematiche sociologiche del crollo del sistema sociale e dalle sue labili garanzie.

Possiamo dire insomma che per il regista newyorkese, considerato unanimemente il padre del genere zombie, i morti che camminano, i particolari truculenti e orripilanti, le atmosfere nelle quali si respira terrore e disperazione, e non da ultimo l'humor nero che appare a tratti in ogni sua opera, non sono che un pretesto per una critica lucida, spietata e senza riserve a una società dove gli zombie sono sempre tra noi, perennemente in bilico tra il sonno della ragione e la furia distruttiva.

 

 

30-01-2015 | 13:16