Quando finiranno queste vergogne?

Le immagini rivoltanti del capo ultrà Genny 'a Carogna che negozia col capitano del Napoli e i dirigenti della questura di Roma se giocare o meno la finale di Coppa Italia, il tutto alla presenza in tribuna d’onore del Presidente del Consiglio, sono sicuramente scene da basso impero e riflettono lo zeitgeist che sta vivendo l'Italia. Ma al di là della valanga di sdegno e scandalo che stanno suscitano gli eventi dello scorso sabato, tra i quali non da ultimo il ferimento in modo grave di ben tre tifosi con un'arma da fuoco, spesso si dimentica che una dimensione di violenza materiale è presente in ogni cultura dalla notte dei tempi.

La violenza legata al tifo sportivo è di primo acchito la più insensata esercitata da chi è evidentemente capace di intendere e volere; se ci pensiamo bene nella causa delle violenze di ogni altro tipo esiste sempre e comunque una sorta di logica, per quanto distorta e malata possa essere: il terrorista attacca colui dal quale si sente ingiustamente oppresso, il mafioso o il camorrista usano violenza con l'evidente scopo di averne un vantaggio economico o di potere, e così via. Nel tifo invece l'odio e la violenza non vengono proiettate secondo una logica per quanto becera e brutale possa essere, ma sono strumentali a se stesse e autocelebrative. Il tifoso violento urla in gruppo in una sorta di ipnosi collettiva la sua rabbia per 90 minuti contro un suo gemello speculare che si comporta esattamente come lui e prova i suoi medesimi sentimenti, la sua collera è tanto primordiale da non avere nemmeno un fine pratico oltre che una causa, vorrebbe distruggere il tifoso avversario che come lui scalpita dall'altra parte del campo senza saperne nemmeno perché.

Una risposta a tanta violenza apparente insensata può essere data dall'antropologia, le società umane hanno sempre avuto bisogno di riservarsi spazi di violenza controllata nei quali alle loro componenti più emarginate è stata accordata tacitamente la libertà di sfogo dei propri istinti puramente violenti come in una sorta di esorcismo di massa. Narra Tacito che nel 59 d.c., in occasione di giochi gladiatori tenutisi a Pompei, vi furono scontri originatisi da futili motivi tra i pompeiani e i nocerini convenuti per l'occasione: si iniziò con i reciproci insulti, per poi arrivare alle pietre e infine alle spade, ad avere la meglio furono i padroni di casa, tanto che Tacito riporta che molti nocerini furono riportati a casa morti o mutilati e che i fatti destarono così tanto scandalo nell'Impero da causare l'interdizione nella città di Pompei dei giochi circensi simili per addirittura dieci anni.

Ma è circa cinquecento anni più tardi, con quelli che furono gli eventi degli Azzurri e dei Verdi nell'Ippodromo di Costantinopoli, che si arrivò ad una vera e propria istituzionalizzazione di un luogo deputato alla violenza tra gruppi che oggi indentificheremmo come tifosi. Molto si è scritto da dove scaturissero le divisioni tra queste due fazioni, secondo alcuni storici dal ceto economico, secondo altri da cause religiose, seconde altri politiche. Ma stando a recenti studi non ci sarebbero state divisioni sociali o politiche nette tra i due gruppi, e le due fazioni si sarebbero ripetutamente scontrate senza un motivo apparente, in preda ad una vera e propria follia collettiva. Forse è proprio per questa terribile scintilla di violenza incontrollata, presente in ciascun essere umano, che nel ventunesimo secolo assistiamo ancora a fatti simili a quelli di Pompei o di Costantinopoli. La storia, purtroppo, sembra non ci insegnarci niente.

05-05-2014 | 11:25