Quando esistevano le streghe

Fiano Romano, 1528. Bellezze, vedova di Angelo Orsini, di Collevecchio, accusata di aver commesso malefici, stregonerie di ogni sorta e venefici. Marco Calisto, luogotenente per il conte di Pitignano, è colui che, in qualità di giudice, apre l’istruttoria a carico della donna. Vengono ascoltati diversi testimoni e, a detta di tutti, la donna è una pericolosa megera da temere, capace di infliggere terribili malanni fisici e morali alle persone che incappano malauguratamente nella sua ira.

Viene ascoltato un certo Cecco di Filacciano: «Io cognosco Bellezza, e hola per una mala femina e strea, e ognuno ha pagiura de fatti suoi. Ho inteso semrpe mai, da che cognosco male e bene, che è una strea, e de quelle che sanno e guastare e acconciare. E tutti se dice adesso pubblicamente che è una strea e mastra. Io el so che fa cose grande, perché l’ho provata e so quel ch’è, e caro me costano le sue strearie: me fece stare l’altro anno quattro mesci in letto perché non li volsi imprestare certi denari».

Anche un uomo di chiesa depone contro di lei, dicendosi convinto dei suoi poteri malefici: «Bellezza, io la cognosco e te la do per una delle magior stree e poltrone che se trovino al mondo: strea, rnatre della strearia, e in tal cosa io non crediva, ma perché me lo ha facto provare, la poltrona, so’ stato forzato a crederle: me ha riunato, me fece stare infermo in lecto. E quando stava male, e quando male e peggio, me bisognò voltare con le linsoli in lecto e non trovai né medici né medicine me giovassero, e fui indirizzato ad uno streone, un prete di Civita ducata, che subito cognobbe, come mi vidde, la mia infermità e disce: “T’è stato dato ad mangiare el beverone da una donna che te vol male e fece star cusì, e se non havesso remediato, fra poco tempo serriste morto”. E cusì el dicto prete, o streone che fosse, con certe sue cose, untione, parole, e certe cose che me face pigliare per bocca, me fece rebuttare fora molte materie e mi mostrò che me havia dato ad mangiare la sperma de lo homo e lo marchese delle donne».

Sperma dell’uomo e marchese della donna, quindi, sono questi gli ingredienti malefici e portentosi delle pozioni di Bellezze! Le accuse contro di lei sono schiaccianti, tanto che il giudice di Fiano, Marco Calisto da Todi, decide di imprigionarla fino alla fine del processo.

La donna viene interrogata nella rocca di Fiano, ma le sue prime confessioni non sembrano dimostrare la presunta stregoneria di cui è accusata. Bellezze ammette di essere una guaritrice, o santona, di preparare pozioni e cure medicamentose, con le quali però ammette anche di non aver mai fatto male a nessuno.

«Curo e medico ogni male, ogni limita, so guarire doglie francese, ossa rotte, chi fosse adombrato da qualche ombra cattiva e multe altre infirmità. Non feci mei se non bene, e per far meglio me so’ vestita de questo ordine de santo Francisco benedetto».

Confessa anche di aver commesso del male prima di entrare nell’ordine e di essersi votata alla fede proprio per non incappare più in errore. I peccati di cui si dice rea, però, non hanno niente a che fare con la “strearia”, perché Bellezze confessa di aver seminato zizzania tra moglie e marito, di aver spergiurato contro qualche parente, di aver fornicato, senza decenza, con uomini di ogni sorta, solo per il piacere di farlo, “signori e frati e seculari”. Nessuna di queste azioni però giustificherebbe una condanna per stregoneria. Tant’è che, quando a Bellezze vengono elencati i capi d’accusa, lei rinnega con forza, giurando di non avere niente a che fare con malefici e cose diavolesche. Il giudice, non pago delle confessioni della donna, la conduce allora dinnanzi alla sala delle torture, minacciando di sottoporvela . È solo allora che Bellezze, forse terrorizzata dai tremendi marchingegni che si ritrova davanti, si decide a parlare. E parla di “strearia” appunto, di trasmissioni di occulti e potenti poteri, di diavoli, di maestre, di orge, di amplessi con il proprio padrone e signore, satana appunto.

Perché, confessa Bellezze, la “stregheria” si passa da una esperta a una novizia. È una sorta di condanna: una strega giunta alla fine del suo cammino su questa terra non può non trasmettere l’arte o rischia di morire di mala morte:

«Bisogna che una che vole essere strea inpari dall’altra strea, altramente non vale, e non possono morire che non lassino herede della strearia alle parenti loro, salvo non morissero de mala morte. E questo l’ò visto io: era una ad Colle Cechio che era stata e era strea, che era in fino de morte parichì dì e che non havia nesuno parente al mondo, salvo una gallina in casa; e cusì chiamò una sua vicina e dixe: Io non ce ho chiuvelli in questo mondo che possa caminare altro che questa gallina. Pigliala e dammela, che li voglio lassare l’arte della strearia. E cusì li fu data, e meseli el becco in bocca e sputoli nel dicto becco dentro, e dixe: Va, che tu sei mia herede, e cusì te concedo tucte mie ordini e rascione della strearia, e vattene via per me».

Nel racconto di Bellezze la presunta strega gallina pare si sia alzata in volo e non abbia fatto più ritorno. È proprio “sputando in bocca” che si passano le arti magiche e cospargendosi il corpo con un unguento speciale, più volte citato nelle confessioni delle streghe.

Si parla anche di un battesimo della strega, un rito durante il quale alla malefica viene richiesto di rinnegare Cristo, con tutti i suoi insegnamenti, e di votarsi al demonio, chiamandolo padrone e signore. Pare che questa pozione portentosa, spalmata sul corpo della strega, riesca a conferirgli poteri soprannaturali, compreso quello di alzarsi in volo e di passare attraverso i muri.

«Et cusì poi col dicto onguento ce ognemo, e dicemo: “Unguento, unguento, portame alla noce de Benevento”. E illì sollazamo e iocamo colli diavoli in cose grande, con tanto gran feste, soni, canti e balli, che non lo poteria mai raccontare».

Gli incontri che Bellezze racconta di svolgere con il diavolo sono tristemente noti nei testi inquisitoriali. Gli interrogatori raccontano di streghe che arrivano volando su scope o fili di paglia o cavalcando demoni e animali. Nel corso di questi incontri le streghe si dedicano a balli sfrenati, canti e riti orgiastici che coinvolgono bestie e lo stesso satana.  Bellezze ci racconta di famigerati incontri a Benevento, di unzioni e secondo alcuni questi resoconti sarebbero proprio il frutto di droghe: gli unguenti con cui si cospargeva il corpo contenevano sostanze allucinogene che provocavano allucinazioni e visioni. Più semplicemente le confessioni potevano essere la conseguenza di giorni di torture: le streghe si piegavano a dire quello che l’Inquisizione voleva sentire, considerandole per trecento anni colpevoli dei mali dell’umanità, tanto da dar origine a veri e propri manuali d’uso su come riconoscere e annientare la strega, uno su tutti il terrificante Malleus maleficarum (letteralmente “Martello del diavolo”), la summa del sapere in fatto di stregoneria del XV secolo. E non è stato neanche proibito dall’Indice!

Bellezze Orsini si è uccisa in carcere, trafiggendosi la gola con un chiodo, pare convinta fino alla fine di essere una vera, autentica, potente strega: «Io saccio umbrare, strare, amalare, afaturare, etossecare, e l’aio ‘nsegnato».

 

 

22-08-2014 | 09:40