Non ti scordar di me

"Vergià Lampe" (Dimentica Lampe) scriveva, in francese, Immanuel Kant su un cartello da tenere bene in vista sulla scrivania. Lampe era il cameriere morto da poco, al quale il filosofo era molto legato, e dopo giorni sottratti al lavoro questi decise di dimenticarlo. Esiste una foltissima letteratura sull’arte della memoria, su come imparare a ricordare, ma dimenticare qualcosa è talvolta più difficile. Dimenticare una persona amata importante può essere un’impresa, ma salvo casi patologici di devozione eterna, più o meno tutti ci sono in qualche modo riusciti.

Tuttavia, questo è meno facile nell’era di Facebook e dei social network in generale. In qualsiasi momento, in qualsiasi luogo del mondo giunga una connessione, sullo schermo di un qualsiasi telefonino è possibile esplorare lo “stato” presente e tanto di galleria fotografica aggiornata di chiunque non abbia messo filtri al proprio “profilo”. Si potrebbe quindi vedere il o la propria “ex” in compagnia del nuovo partner, sapere se è con esso al mare, in montagna, in pizzeria, in barca, all’altare o già in luna di miele. Una tortura delle peggiori, e per di più senza una fine prospettabile, salvo riuscire a resistere dall’andare a cercare il nome fatale su Facebook o, come si propose di fare Kant con un autentico imperativo categorico, dimenticarlo. Il vecchio adagio “Lontano dagli occhi, lontano dal cuore” richiama l’etimologia del ricordo: re-cordare deriva dal latino cor, cuore, che per gli antichi era la sede fisica delle immagini e quindi della memoria. Non vedere per smettere gradualmente di ricordare.

Ma quale stilita, quale eroe, samurai della volontà riuscirebbe a imporsi di farlo in maniera definitiva? Fino a qualche anno fa si ricorreva agli usati rimedi: liberarsi di lettere, fotografie, eventuali ciocche di capelli, oggetti personali e regali ricevuti, non frequentare determinati luoghi o persone, non ascoltare e riascoltare la stessa canzone. Ma oggi, con poche cliccate ecco apparire, attraverso un mezzo invisibile e onnipresente, il volto e gli attimi di vita più recenti di chi si vorrebbe rimuovere dai propri pensieri. Il potere delle immagini è indubbiamente il più efficace sulla memoria, ma quando questa non viene aggiornata, si può intervenire sui ricordi, col tempo destinati a sbiadire e lasciar posto ad altri. Ci si può dedicare a modificarli, insistendo su particolari che col tempo ribaltino il senso del ricordo, come in questo passo della Recherche di Proust <...ripensò a quel suo sogno, rivide, come se li avesse lì accanto, l’incarnato troppo pallido, le guance troppo magre, i tratti troppo tesi, gli occhi troppo pesti di Odette, tutto quel che […] aveva smesso di notare dopo gli inizi della loro relazione, inizi nei quali senza alcun dubbio la memoria era andata a cercare la sensazione esatta durante il suo sonno. E, con quella saltuaria grossolanità, che ricompariva in lui appena smetteva di essere infelice e che nello stesso tempo abbassava il livello della sua moralità, esclamò dentro di sé: “E dire che ho rovinato tanti anni della mia vita, che ho desiderato di morire, che ho avuto il mio più grande amore per una donna che neppure mi piaceva, che neppure era il mio tipo!”>.

Il privilegio di non essere soggetti ad una sovraesposizione alle immagini e dei ricordi, potere alla fin fine scegliere da sé quali conservare e di quali liberarsi con l’aiuto che il tempo esercita su di esse, potrebbe divenire (se non lo è già) oggetto di rimpianto per tanti. Tempus vincit omnia varrà ancora, o soccomberà agli“aggiornamenti di stato” dei profili?

 

 

07-07-2014 | 13:11