Nome in codice Narcos

Finalmente Netflix, la tv onine, è sbarcato in Italia, e nel suo primo giorno di lavoro ha “rilasciato” anche da noi la serie Narcos. Tutta in un botto, come sua abitudine.

Grazie al quartier generale europeo della società americana basato in Olanda il 20, 21 e 22 Ottobre 2015 Spagna, Portogallo e Italia sono state rispettivamente attivate ed allineate al metodo Netflix. Adesso ci siamo dentro anche noi: con le nostre preferenze pulsanti siamo variabile ondivaga diretta alla sede di Los Gatos.

Quattro registi sudamericani si sono dati il cambio per realizzare i primi dieci episodi della vita di Pablo Escobar; Josè Padilha produttore della serie, regista dello straordinario “Tropa d’Elite”, ha diretto scene di guerrilla urbana come solo lui sa fare.

Girato sia in inglese sia in spagnolo per mantenerne le “arie”, per rendere al meglio i “gringos” – i forestieri di madrelingua non spagnola – “Narcos” è un vero e proprio viaggio in Colombia.

L’agente della Defense Intelligence Agency, Steve Murphy, ci guida nel periodo in cui nacquero i cartelli della droga: dalle piantagioni delle “hojitas magica” (foglioline magiche) allo scontro di Medellin (di cui la pronuncia perfetta è “Mejeìn”) con l’aiuto di un altro agente DIA sotto copertura: Javier Peña.

Madri preoccupate, figli devoti, amici e parenti, campesiños, barbecues, appartamenti di lusso, strade disperate, ville, minigonne, il parlamento, tubi catodici, foreste rigogliose, pallottole e coltelli, la spada di Simon Bolivar, orecchini, ricette a base di cherosene ammoniaca e un pizzico di acido solforico, sangue e cadaveri scorrono incessantemente sullo schermo piatto tenendoci all’erta per circa dieci ore.

Le scene di Narcos intervallate da filmati di repertorio si basano e si arrampicano su avvenimenti realmente accaduti in Colombia dalla fine degli anni ‘70: Murphy e Peña non dettero tregua a Pablo Emilio Escobar Gaviria, Don Pablo per il popolo colombiano, da quando appena ventottenne organizzava la produzione di diecimila chili di cocaina a settimana, che venduta a cinquantamila dollari al chilo gli assicurava un’entrata di cinque miliardi all’anno. Una logistica di trasporti che fruttava cinque miliardi in banconote americane in fuoriuscita dagli USA verso le frontiere del sud.

Nominato “Druglord” dai servizi segreti, ne viene ricostruita la tela di connessioni grazie alle prime intercettazioni satellitari e all’individuazione degli elementi corrotti, agenti comprati: “Everybody works for somebody”.

“Plata o plomo” - “argento o piombo” - questa la formula perpetrata da Escobar per i propri affari: o accetti soldi o pallottole. Interpretato magistralmente da Wagner Moura che, sebbene sia un attore brasiliano, crea la perfetta cadenza ed intonazione all’uomo che ad un certo punto guadagnerà più della General Motors. Un uomo che non smette mai di ricordare i suoi umili natali mentre cerca di spiegare – e spiegarsi – perché il “realismo magico sia nato in Colombia: perché è un paese in cui realtà e sogni si compenetrano”. Un dittatore mitomane che parla usando aggettivi e nomi diminuitivi per minimizzare l’orrore che sta per compiere, che trasla sempre a suo favore la realtà dei fatti.

“Esta no es guerra, es negociacion”.

 

 

04-11-2015 | 14:38