Mayweather-McGregor: la grande farsa

Lorenzo Longagnani

Molto spesso quando viene organizzato un grande evento di pugilato si usa presentarlo come “incontro del secolo”. È accaduto nel 1971, nel 1974 e nel 1975 per i tre incontri disputati tra Muhammad Alì e Joe Fraizer, o, sempre nel 1974, tra lo stesso Alì e George Foreman nel famoso “Rumble in the Jungle”; ancora nel 1987 tra Hagler e Leonard per il titolo mondiale dei pesi medi, quindi tra Tyson e Holyfield nel 1997, tra Holyfield e Lennox Lewis nel 1999 e tra Lewis e Tyson nel 2002, infine nel 2015 tra Floyd Mayweather Junior e il filippino Manny Pacquiao. Addirittura questo termine è stato sfoderato, diciamo generosamente, anche qualche mese fa nel match tra Anthony Joshua e Wladimir Klitschko.

Premettendo che del secolo in corso sono trascorsi soltanto diciassette anni e mezzo e che l’eredità lasciata da un grande secolo di boxe come il Novecento dovrebbe insegnare a essere cauti nel pubblicizzare ogni grande avvenimento come quello “superlativo”, è facile comprendere che gli organizzatori di simili eventi adottino la stessa strategia mediatica al fine di rilanciare uno sport che dopo i fasti di quattro decenni (dal 1960 al 2000, ossia dall’avvento di Alì alla caduta di Tyson, senza nulla togliere agli altri grandi) ha visto calare drasticamente il suo indice di gradimento. Gli incontri di cui sopra si svolgevano tra veri pugili, con titoli, borse e graduatorie professionistiche in palio. L’incontro Mayweather e McGregor, invece, poco ha a che vedere con il vero pugilato. Avrebbero dovuto chiamarla “l’esibizione del secolo” o, più correttamente, “una grande esibizione”. Un avvenimento cruento come è una lotta tra due uomini richiama molto interesse, ma ha la stessa valenza sportiva di quando, per esempio, si fa gareggiare una Ferrari di Formula Uno opponendola a un aereo jet, o, ancora, quando uno sprinter come Usain Bolt sfida nei 100 metri il veloce calciatore Cristiano Ronaldo. Ebbene, per questi folcloristici eventi, in cui due sfidanti appartenenti ad ambienti diversi hanno gareggiato, non si sono mosse campagne pubblicitarie faraoniche come quella avvenuta tra il campione americano di boxe e quello irlandese di MMA. Tra l’altro, come avvenne quella volta in cui Ben Johnson sfidò un cavallo in una corsa, almeno in quel caso la gara fu autentica.

Nel caso Mayweather vs McGregor invece, l’impressione, più che impressione una certezza, è che l’evento sia stata una vera e propria opera cinematografica abilmente confezionata prima, durante e dopo l’incontro. I due sfidanti altro non hanno fatto che seguire un dettagliato copione. Nei mesi precedenti il match si è dibattuto su quale disciplina fosse la più forte tra Boxe e MMA. Sono state poi indette diverse conferenze stampa in cui sono volati pesantissimi insulti tra le parti, con McGregor a fare la parte del provocatore arrogante e Mayweather in quella del silente e paziente assassino (avranno probabilmente studiato diversi video di Alì contro Foreman, Liston, etc.). Nella pesata ufficiale, a poche ore dal primo gong, si è addirittura sfiorata la rissa tra i due, subito divisi dai propri staff e, in realtà, ben lungi dall’arrivare alle mani veramente. Pure durante l’incontro molti dubbi sono sorti, vedendo un pugile letale e rapido come Mayweather, ancorché quarantenne, non affondare mai le combinazioni come in passato, graziando il ventinovenne McGregor, il quale lasciava spazi entro la propria guardia ampi come praterie. A proposito della guardia di McGregor, è stato detto che in soli due mesi il campione di MMA ha imparato a boxare con incredibile bravura, denotando un talento innato anche per questa disciplina, quando invece in due mesi di allenamento non ha nemmeno imparato la corretta postura delle gambe che un pugile esordiente ha già assimilato e dovrebbe mostrare. Inoltre sul ring si è visto un atteggiamento spassoso da parte dei rivali, grandi risate reciproche, tante chiacchiere e, per la prima volta, Mayweather che più volte gira le spalle all’avversario e si china su se stesso. La sensazione che di serio ci fosse ben poco e che l’epilogo fosse stato architettato a tavolino è venuta sentendo le dichiarazioni post match del pugile americano. Mayweather, che eccelle in bravura pugilistica ma non in intelligenza fine (basti pensare a tutte le volte che ostenta piramidi di banconote) ha dichiarato a fine incontro, dopo infiniti abbracci e complimenti a McGregor, di aver atteso l’ottava ripresa per iniziare a fare sul serio e la decima per chiudere il match, ben sapendo che le sfide di Mix Martial Arts durano al massimo venticinque minuti e che quindi il rivale sarebbe stato in debito di ossigeno alla mezz’ora.

Questo significa, e le immagini supportano questa tesi, che per le prime sette riprese il copione era quello di garantire al pubblico pagante uno spettacolo duraturo e dai connotati circensi. E pensare che per tale irriverente esibizione hanno guadagnato circa 300 milioni di dollari l’americano e 100 l’altro. Se si vuole vederli come due testimonial pubblicitari delle rispettive discipline, tutt’oggi in declino e povere di giovani leve, allora tale buffonata può anche avere senso, tolto che le cifre sono da ritenersi elevate comunque. Il dissenso tuttavia resta: questa manifestazione ha dato risalto a tutti gli aspetti più teatrali ed astratti delle due discipline sportive e non invero a tutto ciò che invece comportano, come, ad esempio, il sacrificio quotidiano, la tecnica di combattimento e, soprattutto, la tattica necessaria per affrontare combattimenti sportivi di livello. Se davvero si volesse rilanciare la boxe, per citare una delle due arti, sarebbe doveroso investire denaro in strutture adeguate e non fatiscenti come quelle in essere, devolvere premi più congrui a chi vince e riceve qualche riconoscimento nelle competizioni nazionali ed internazionali. Chi vince una medaglia d’oro olimpica, dando l’anima in sudore e fatica, e rischiando la vita seriamente, riceve dalla federazione italiana venti mila euro. Comunque viva la boxe. Quella vera. 

 

 

 

 

30-08-2017 | 00:27