Ma se ghe penso allôa mi veddo Bruno

Ci sono esistenze venute al mondo per andare controcorrente. Vite insofferenti a qualsivoglia tipo di restrizione, inadatte a conformarsi all'ordine delle cose vigente, sempre pronte a percorrere strade solitarie e scomode pur di restare fedeli a se stesse.

Personaggi che testimoniano con la loro vita che l'uomo è nato libero. Sono anarchici, libertari, irregolari, bastian contrari, dandy, non-conformisti ma senza mai commettere violenza o creare tensioni: gelosi della propria libertà, sono anche rispettosi della vita altrui. La loro guerra la combattono gentilmente, con signorilità, umorismo e ironico distacco.

Un uomo di questi è stato Bruno Lauzi, artista che non rinunciò mai a se stesso e alla sua arte per il successo e per la fama. Poeta, cantautore tra i padri della scuola genovese, autore di canzoni per bambini come La tartaruga e Johnny Bassotto, traduttore, ma anche editore e talent scout. Fino a essere viticoltore, gastronomo e cercatore di funghi. Insomma una personalità eclettica, curiosa, vulcanica, un intellettuale a tutto tondo fiero della propria libertà, che mai avrebbe ceduto alle lusinghe della politica, del pubblico, delle autorità culturali. Un ometto coi baffi, paffuto e riccioluto che , anche per l'aspetto fisico, sembrava fatto per prendere in giro, per giocare, per insegnarci a non essere troppo seri. Un simpatico “rompicoglioni” per un’Italia di intellettuali organici e di militanti così seri da divenire faziosi e settari.

Uomo libero, liberale, laico, libertario, non piaceva ai partiti e alla Cultura. Una volta fu invitato a una Festa dell'Unità e rifiutò rispondendo “Fate liberare gli artisti sovietici dai gulag”. Era uno impegnato a modo suo, Lauzi, o meglio il suo impegno era diverso: agire sull'immaginario. Del resto una volta disse: “Siamo tutti vittime dell'Illuminismo, abbiamo perduto il senso del Mito. Eppure non c'è nulla di più razionale che credere nell'irrazionalità”. Sapeva che una favola, una filastrocca (vedi “la tartaruga”) o anche un fumetto insegnano più cose di un testo dottrinario.

Alla fine della sua vita decise di cimentarsi in una nuova impresa: scrivere un romanzo. Uscì così nel 2005 per i tascabili Bompiani Il caso del pompelmo levigato. Libro poco noto, ma di grande qualità. Bizzarro al punto che solo Lauzi poteva scriverlo. L’autore stesso avverte in un capitolo: “Mi sento in dovere di avvertirvi che, se siete di quelli rigidamente deterministi, convinti che la vita abbia un senso preciso e che tutti gli eventi abbiano una motivazione logica per accadere, be’, allora questo libro non fa per voi”. Il libro, infatti, è un racconto non-sense, dove il tempo, lo spazio, e i personaggi non rispettano nessuna regola compositiva.

La trama è quella di un romanzo giallo, utilizzato per affrontare diversi argomenti filosofici: la bellezza, la giustizia, l’esistenza di Dio e altri ancora; il racconto diventa quindi un vero e proprio “comte philosophique” che strizza l'occhio a quelli di Voltaire. Un libro strampalato, divertente, ironico ma anche profondo e stimolante per la mente. Un suo passo è bellissimo: “…quando uno pensa, deve sforzarsi di andare oltre i suoi limiti; oltre il soffitto, diciamo così, della sua scatola cranica, della sua capacità di concentrazione, dei suoi pregiudizi. Ognuno di noi vive in stanze le cui pareti e il cui soffitto se li è inventati da solo. Via, via, sfondare, rompere, andare oltre, penetrare altre stanze, questo è il compito e il fardello dell'uomo fino all'ultimo fiato di vita”.

Un libro da leggere, soprattutto per l’insegnamento che dà: quello di cercare di essere liberi. Nonostante tutto.

 

 

14-09-2014 | 22:59