Ma io mica so i nomi stranieri!

Entro in una storica libreria della città e chiedo: «Vorrei il libro su Mozart di Hildesheimer». Un colore d’ansia gli si diffonde sul viso. Preoccupato e neghittoso a un tempo si avvicina con poca convinzione al computer. Capisco che il più grosso scoglio è Hildesheimer, e con pazienza glielo dico lettera per lettera, con le città, come si fa al telefono.

Finita la faticosa dettatura, durata almeno un eterno minuto, mi guarda e dice: «Mi fa lo spelling di Mozart, per favore... com’è?... con ts?». Lo guardo, con la mascella cascata, e dico: «Scusi, fa sul serio, o è una barzelletta?». Fa la faccia offesa e mi risponde: «Ma io mica so i nomi stranieri!». Un paio d’anni fa, sempre in una libreria del centro, che appartiene alla curia arcivescovile, avevo colto la seguente conversazione: «Scusi, ha Le Confessioni di Sant’Agostino?». E la commessa: «Chi è l’autore?».

I miei due commessi naïf sono solo l’ultimo anello di una lunga catena dell’ignoranza. All’inizio la scuola e i genitori, poi i retaggi antropologici d’un pasoliniano contado – la famosa innocenza – in cui sapere era una roba da signori e ogni uomo saggio applicava il motto per andare avanti nella vita: «Fatte li cazzi tua e magna». C’è inoltre un’editoria poverissima, che, per esempio, su Mozart, non ha pensato di tradurre nessuno degli studi importanti che si sono venuti pubblicando in questi ultimi cinquant’anni. Ho già avuto occasione di dire che, sempre per fare un esempio, chi si interessi di musica o teatro, se è rinchiuso nella sola lingua italiana è impossibile che riesca a farsi una cultura. Interessarsi di musica o teatro, poi, per un’antica parcellizzazione dei saperi, è qualcosa di bizzarro.

L’istruzione scolastica, a tutt’oggi, per antica influenza delle scuole dei preti o dell’idealismo napolo-siciliano batte e ribatte sulla letteratura come fulcro d’ogni sapere umano. Un’infarinatura di patrie lettere era quel di più sociale che distingueva l’avvocato e il farmacista del paese dal rozzo cafone analfabeta. Oggi, sgretolatosi il concetto di patrie lettere, l’idea di letteratura rimane affidato alla romanzeria periodica che invade gli scaffali delle librerie, con cicli di presenza su quegli scaffali dell’ordine dei 20 giorni o un mese. Come si sa, da un decennio, va «il giallo», e così tutti, avvocati, letterine, comici che non fan ridere, manicures, giudici, suore scrivono «gialli», thriller metropolitani ambientati a Cosenza o Subiaco.

Ora, il mio ingenuo commesso qualche expertise personale di sicuro l’avrà. Saprà tutto sull’hip-hop, sulle marche di lacche per capelli, sui fumetti di Dylan Dog, sui giochi di ruolo e così via. La sera, benché trentenne e con incipiente calvizie, tornerà in una casa – quella dei genitori – dove a tavola i maschi discutono di Juve e Milan, e le mamme insistono: «Ma fatte li cazzi tua e magna». E se per caso, seduto al computer vorrà informarsi un po’ cliccherà sul sito di Repubblica, proseguirà sul link di Cultura & Spettacoli (sic, con la & commerciale) e come primo titolo, in rosso, magari troverà qualcosa del genere: «Zequila e Pappalardo mai più su Raiuno». Signori, che sconforto! Questo Paese è in stato di coma culturale profondo.

 

 

14-07-2014 | 16:24