L'odore dei boschi di castagno

Dal De rerum natura di Lucrezio alla natura matrigna di Giacomo Leopardi, la meraviglia di fronte agli elementi primi del mondo ha da sempre generato poesia. E il Novecento, secolo chiave in cui cultura e natura hanno cominciato a divergere significativamente, ha alimentato la necessità di fare i conti, sulla base di sensibilità e accenti sempre nuovi, con l’urgenza di questo tema. Interessante, da questo punto di vista, il caso Parma, fucina ricca di talenti, che si sono misurati con il richiamo di questa dimensione primigenia.

Se in Attilio Bertolucci, come è stato notato dalla critica, la natura viene colta nel suo apparire e soprattutto nel suo fluire, anche attraverso l’armonizzazione con la presenza umana destinata a fondersi con essa, è certo Pier Luigi Bacchini, scomparso nel 2014, il <poeta della scienza e della natura>. Un poeta che oscilla nella sua osservazione attraverso le magie dell’universo entro cui l’uomo è sospeso, dall’infinitamente piccolo all’infinitamente grande.

Ora, d’altra parte, non mancano più giovani epigoni in cammino su questo percorso.

Sta appunto nel profumo unico della natura, nelle sue suggestioni parlanti e nelle sue arcane vibrazioni l’alchimia incantata e antica del poeta parmigiano Guido Cavalli. E, del resto, lo dimostrano bene già i versi tratti dalla poesia che dà il titolo alla sua nuova raccolta, <Nel castagneto> (Diabasis).

Scrive il poeta: <È l’odore dei boschi di castagno./ È la cosa più antica che c’è in me./ Come nel giorno della creazione/ lo spirito aleggiava sulle acque/ buie ma piene di suoni, colori/ tenuti nella mano e sussurrati,/ così l’arca del ricordo sembra/ vuota ma dentro raccoglie la voce del pensiero quando parla>.

Cavalli, classe 1974, già autore della raccolta <Piccolo canzoniere selvatico> (Manni Editori), ritorna sugli scaffali riprendendo un filo coerente e ininterrotto: quello del recupero della dimensione primigenia della natura. O – sarebbe più corretto dire – del ritorno a casa. Perché appunto, come diceva Gary Snyder, <la natura non è un posto da visitare: è casa nostra>. O può apparire anche come <la verde casa dell’infanzia>, per citare un verso del poeta.

Nella prefazione Claudio Risè nota come il poeta cerchi nella terra, nel bosco, nelle vene d’acqua le parole che danno forma ai suoi versi. E <le trova, profonde come le radici dei suoi alberi e arbusti, e cautamente occhieggianti, come le cortecce dei loro tronchi>.

Proprio il tema delle radici (metaforicamente sfuggenti e concretamente imprescindibili, con cui insomma è necessario, prima o poi, fare i conti) riporta, in un viaggio attraverso il tempo, a un’identità più profonda che si può recuperare soltanto tornando indietro: al padre e a ciò che non è stato, al nonno, alle generazioni che lo (ci) hanno preceduto: ai rami tagliati di una famiglia che ha radici lontane. Per scoprire che è solo la natura a poterci offrire l’unico, vero, possibile percorso di autocoscienza. E in questa ricerca assume un ruolo decisivo il ritorno all’Appennino (alla sua flora, ma anche alla sua fauna, come testimoniano i versi dedicati al progressivo ritorno dei lupi), ai luoghi dove restano custodite le vestigia misteriose e insondabili di Cavalli e dei suoi antenati, dove cioè tutto ha avuto origine. Ma c’è di più.  Questa raccolta poetica, che si segnala per la forma solo apparentemente semplice e in realtà sempre attentamente tessuta anche sul piano degli espedienti retorici (interessante, ad esempio, il ricorso, assai frequente, alla similitudine), è scandita da cinque tempi: <Dalla casa di pietra>; <Un altro inizio>; <La scuola del presentire>; <Intorno al vincolo>; <Il lasciapassare
>. E queste pagine trasudano spesso i drammi di una vita, come testimoniano ad esempio le poesia <Una discendenza> e <Il patriarca>, ma riescono sempre a sublimarli in un ricordo delicato e indulgente, che non pretende di trovare la perfezione del senso, ma che, allo stesso tempo, non si accontenta mai della superficie e scava. Deve scavare nella memoria, così come tra le fronde intrecciate degli eventi che offuscano il tempo.

Nella nota conclusiva, Giovanni Ronchini, chiedendosi da dove tragga origine la poesia di Cavalli, sottolinea: <Ci sono […] un bisogno e una necessità a indurre Cavalli a scrivere versi: il bisogno di costruire una identità, un’appartenenza e dunque di contro la necessità di decifrare i contorni della propria inappartenenza; innanzitutto la mancanza del padre, la sua sparizione, ha reciso i rami dell’albero genealogico, rischia di escludere Guido dalla sua storia famigliare>. E in quell’investigare a ritroso nella natura ecco il recupero di una dimensione perduta.

In effetti, <guardate nel profondo della natura, e allora capirete meglio tutto>. Parola di Albert Einstein. Come dargli torto?

 

 

13-11-2015 | 18:42