Leonor Fini, la pittrice fatale

Leonor Fini è nata a Buenos Aires nel 1907 da padre argentino di origine italiana e da madre triestina di origini ebraiche e, per questo, ha vissuto buona parte della sua vita a Trieste: una vita indipendente, anticonformista, da vera “femme fatale”, figura emblematica dalle tante inquietudini. Giunge a Trieste quando ha solo un anno, poiché la madre decide di fuggire dal marito dispotico che tenterà di rapire la piccola Leonor, anche una volta arrivata in Italia. Infatti la bambina verrà spesso travestita da maschio per renderla meno facilmente riconoscibile. Questa difficile situazione familiare prenderà forma in un quadro del 1930 che ha per titolo Voleur d’enfant, in cui si vede una mano che tenta di ghermire un bambino placidamente dormiente

Trascorre l’infanzia solitaria in cui scopre precocemente la passione per il disegno e per il teatro, esercitandosi inizialmente con una compagnia di bambole. A scuola i grandi gruppi la disturbano, racconta frottole, dice di avere le pupille contrattili lunghe e strette come quelle dei gatti, ed essere un gatto a sua volta: l’amore per i felini l’accompagnerà per tutta la vita.

Da adolescente Leonor anziché studiare passa il tempo a copiare immagini dai libri di arte. Si nutre di artisti quali Piero della Francesca, Paolo Uccello, Cosme Tura, Pontormo e importanti saranno anche i viaggi di formazione che farà con la madre a Monaco e Berlino dove visiterà svariate pinacoteche. A 14 anni stringe amicizia con il pittore Arturo Nathan ed il talento di Leonor si palesa nel 1927 quando esegue alcuni ritratti. Ritratti nei quali l’ascendenza di Nathan è comunque forte ma si percepisce già la politezza fiamminga delle sue opere.

Nel 1928 si trasferisce a Milano dove lavora senza sosta e dove stringerà amicizia con diversi artisti ed in particolare con Carlo Sbisà, anch’egli triestino:  verrà  presentata ad Italo Svevo di cui, nel 1928, farà un bellissimo ma impietoso ritratto. Sempre in quell'anno esporrà per la prima volta le sue opere in mostra alla Seconda Esposizione del Sindacato Fascista di Belle Arti a Trieste e nel 1929 Leonor è in mostra con Nathan e Sbisà da Barbaroux, gallerista principe del “Gruppo Novecento”.

Nel 1930 espone alla IV Triennale delle Arti Decorative di Monza e nello stesso tempo è presente nella Biennale di Venezia inserita nella temperie culturale del Novecento. La parabola del Gruppo Novecento sta per concludersi e inizia a declinarsi anche in Leonor che, refrattaria a qualsiasi scuola e assembramento, comincia a desiderare un cambiamento.

Nel 1931, infatti, parte alla volta di Parigi dove la pittrice non ha alcun problema di ambientamento e frequenta i cosiddetti italiens de Paris, come De Pisis, De Chirico e Campigli, ma guarda anche ai grandi stranieri, in primo luogo Picasso. La tavolozza di Leonor Fini si fa più morbida e le figure ottengono una maggiore monumentalità abbandonando la ricerca del realismo che caratterizzava i lavori precedenti. Prevalgono i soggetti femminili spesso con dettagli inquietanti come corna e code presenti in Faunes e Les amie del 1932 che saranno le prime avvisaglie di una ricerca sul mondo onirico, sull’incubo, sui lati oscuri della donna.

A quest’altezza appare un altro tema cardine della ricerca di Leonor Fini che è quello della metamorfosi e del travestimento, come testimonia il dipinto del 1935 che ha per titolo Giovanotto travestito da povero, ritratto di Andrè Pieyre de Mandiagues, che entrerà nella sua vita nel 1932.

Le sue atmosfere oniriche da incubo e sospensione metafisica non potevano non incontrare i surrealisti dai quali resterà folgorata nel 1933. Surrealisti con i quali entrerà in contatto grazie alla stilista Elsa Schiaparelli, la rivale italiana di Coco Chanel, per la quale Leonor disegnerà, tra l’altro, la confezione dello Shocking Pink Schiaparelli, un profumo che aveva la forma dei fianchi della giunonica attrice Mae West.

Sempre nel 1933 farà la conoscenza di Max Ernst altro incontro abbacinante che si declinerà in una fugace passione d’amore. Nel 1934 comparirà nella mostra di disegni surrealisti organizzata da Paul Eluard alla galleria “Le quatre  chemins” e verrà invitata alla Quadriennale Romana ad esporre i suoi disegni surrealisti insieme a De Chirico, Dalì, Ernst, Mirò, Picasso e Tanguy. 

È del 1936 il viaggio in America, pregno di soddisfazioni, dove esporrà a New York nella galleria di Julien Levy, con Max Ernst, e al Museum of Modern Art nell’ambito del Fantastic Art and Surrealism.

Allo scoppio della seconda guerra mondiale Leonor e altri amici si rifugiano prima nella casa di campagna di Ernst nei pressi di Parigi poi a Montecarlo dove Leonor si guadagnerà da vivere facendo ritratti di persone facoltose. Fino a quando non incontrerà Stanilao Lepri, Console del Principato di Monaco, che diventerà suo compagno di vita e che per lei arriverà perfino ad abbandonare la carriera diplomatica per dedicarsi alla pittura.

Nei suoi autoritratti, tra gli altri, si mette in scena, citando prima Tiziano di cui abbiamo una riproposizione al femminile, del ritratto dell’Uomo con guanto del 1520-1525 che Leonor ripropone nel 1938 titolandolo Autoritratto con scorpione, in cui abbiamo la stessa composizione scenica del cadorino nel quale Leonor aggiunge uno scorpione.

Un’altra citazione tra le tante che Leonor fa è ravvisabile nel fiammingo Van Eyck che l’artista omaggia nel suo Autoportrait au tourban rouge sempre del 1938. Leonor sembra essere una di quelle golose descritte in una poesia di Gozzano che, ingorde, divorano la preda in questo continuo gioco tra le fonti iconiche. Più laicamente Gozzano nella poesia Le golose si lamenta della legge inopportuna che non gli permette di baciare ad una ad una queste golose signore e signorine in cui, per evocazione, c’è anche Leonor scarmigliata signorina novecento.

Il rammarico del poeta Gozzano allora è anche il nostro: non aver potuto baciare una donna così, come lei, Leonor, in un caffè, in una confetteria, in una Trieste senza confini.

 

 

21-07-2015 | 10:55