L'amaro calice di vodka

Stasera non avete voglia di leggere poesie, ma la poesia vi manca terribilmente, come un abbraccio che non ricordate bene da chi sia venuto, ieri o mille anni fa, ma che sapete prezioso nella muta ma prepotente memoria del corpo. Oggi avete voglia di splendore, ma non riuscite a muovervi per andarlo a scovare. Come quando la giornata si preannuncia meravigliosa ma non avete voglia di uscire perché forse è troppo bella, avete paura di sciuparla come il vestito nuovo dei bambini semplici. E allora la guardate dalla finestra, illudendovi di conservarla meglio nella vostra memoria, se non la toccate. Illudendovi che se non la toccate voi non lo farà nessuno e sarà lì ancora domani, intatta e vergine, nonostante le previsioni annuncino tempesta e le folle si muovano furiose in ogni dove.

Ecco, se oggi vi sentite così, cercate e guardate il film Vodka Lemon, di Hiner Saleem, luminoso regista curdo iracheno, vincitore a Venezia nel 2003.

Non sarà facilissimo trovarlo nelle videoteche, ma il DVD esiste e andrebbe comprato e custodito fra le cose più care.

Sedetevi comodi, procuratevi un plaid anche se fuori ci sono 35 gradi, perché il freddo non lo sentirete forse, ma lo penserete parecchio, quindi anche solo guardarla una vecchia coperta a scacchi farà bene al cuore. Il freddo del silenzio e dello spazio immenso, tutto bianco, senza tempo, così lontano dal nostro quotidiano eppure magicamente comprensibile in quest'opera d'autore, ci si accomoderà accanto senza chiedere il permesso.

Neve e musica, strette in un abbraccio paradossalmente caldo sin dalle prime scene, accompagnano la storia di personaggi che vivono una vita di miseria e sogni, svuotata dal crollo dell'Unione Sovietica e nello stesso tempo riportata, a forza, alle radici della speranza umana.

Splendido il contrasto fra interni ed esterni, ottima la capacità di raccontare i drammi strappando sorrisi che se li giri hanno gli occhi lucidi, notevoli la capacità evocativa del regista e degli interpreti, superba la colonna sonora di Michel Korb. Questo è un film di un'eleganza tagliente, che fa un po' vergognare delle cose, infine, inutili e volgari, e che il consumismo sfrenato ha reso "indispensabili". Nello stesso tempo non si compiace nostalgico ma celebra la libertà, ricchezza inestimabile anche con la pancia non troppo piena. 

Protagonisti sono Hamo e Nina, incontratisi in un poker dal sapore felliniano, sulle tombe dei rispettivi coniugi e folgorati da un sentimento candido e trascinante, come fossero due ragazzini. Nonostante i drammi e le miserie che entrambi devono fronteggiare, fra problemi dei figli, disillusioni e sogni infranti, si innamorano in questa Armenia post comunista dove la neve sembra l'unica cosa certa dall'oggi al domani, insieme alla povertà, alle rinunce e alle distanze, geografiche e culturali, che sembrano sfidare a petto in fuori la globalizzazione del mondo occidentale, così vicino, così lontano.

Tutto il film ha toni poetici davvero rari e preziosi ed è indimenticabile il quadro dei due protagonisti sull'autobus, con lo splendido sottofondo della canzone leit motiv "Tombe la neige" canticchiata dallo "scuro" e imprevedibilmente tenero autista, dolce punto esclamativo che pizzica il bianco assoluto, aggrappato alla bellezza della canzone con una tenacia meravigliosa.

La scena finale è poi un piccolo capolavoro lirico. Hamo e Nina, seduti all'amato pianoforte, unico bene materiale che sono riusciti a salvare, suonano guidandolo verso l'orizzonte infinito, con un cavallo al galoppo che li sfiora a ricordare che si', n'importe quoi, hanno ragione loro, la vita, la musica, la bellezza, l'allegria. Fermate questa scena nella vostra memoria, serbatela per i momenti di sconforto. Quando tutto sembra nero, ricordatevi di questa neve primordiale, improvvisamente avvolgente, che assomiglia tanto ai sogni d'amore. 

(Vodka Lemon, Hiner Saleem, Francia, Italia, Svizzera, Armenia, 2003)

 

 

26-05-2014 | 23:29