La vita tra impero e repubblica in Turchia

Il SALT è uno più interessanti esperimenti culturali a Istanbul. Dispone di due sedi aperte in rapida successione, nel 2009 e 2010: a Beyoğlu sul corso principale della città europea e levantina, con uno spazio espositivo per l'arte contemporanea e un “cinema aperto” – niente porte, niente biglietti d'ingresso – per rassegne e documentari; a Galata – già colonia genovese – nell'edifico maestoso che ospitava la banca ottomana opera di Alexandre Vallaury, con sale per mostre dal taglio spesso storico, una biblioteca orientata alla ricerca, una divisione archivistica accessibile online, un auditorium per concerti e conferenze, ristorante e caffè con vista memorabile sulla città, una libreria d'arte, il museo storico della banca – nel vecchio caveau – che grazie a cimeli e documenti d'epoca testimonia l'estrazione multi-etnica e multi-religiosa di impiegati e clienti. Tutto gratuito: un esempio di puro mecenatismo della banca Garanti, che di quella ottomana è diretta erede.

Il terzo piano della sede di Galata è dedicato integralmente agli archivi: postazioni per la consultazione dei documenti digitalizzati, una grande stanza piena di luce – “archivi aperti”, anche in questo caso – che periodicamente accoglie preziose mostre basate su fondi pubblici o privati spesso inediti. Quella inaugurata pochi giorni fa – in programma fino al 23 marzo – ha per titolo “Frammenti d'archivio. Rappresentazione, identità, memoria in una famiglia ottomana”: l'abbiamo visitata insieme alla curatrice Ece Zamran, che ci ha spiegato come è riuscita a far criticamente rivivere l'epoca di transizione dall'impero alla repubblica attraverso documenti, foto e oggetti vari appartenuti a Said Bey – personaggio non famoso ma altamente rappresentativo – e ai suoi discendenti nell'arco temporale 1900-1940. Una mostra che è nata da una tesi di master e da un'incontro fortuito a Parigi con Hatice Gonnet Bağana: la quarta generazione, la custode del fondo poi donato al SALT.

Said Bey, vissuto dal 1865 al 1928, era un interprete di corte e un insegnante alla Scuola imperiale: “eccellente francofono, abile conoscitore dei codici comportamentali della civiltà occidentale” – come attesta il suo necrologio; tutti i suoi scritti autografi – agende e soprattutto lettere – sono però in ottomano, in caratteri arabi: la lingua della Turchia fino alla riforma voluta da Atatürk, che con furore modernista e sperticatamente occidentalofilo nel 1928 impose l’alfabeto latino e un taglio netto col passato. La mostra, allestita in modo raffinato e accattivante dalla Future Anecdotes Istanbul, presenta la vita privata di tre generazioni di una famiglia ottomana in parallelo all'evoluzione della politica nazionale: così da illustrare i mutamenti e le continuità nelle abitudini individuali, i modi in cui tutta una famiglia si esprimeva e auto-rappresentava negli scritti (nei diari di Said Bey sono fattualmente annotate tutte le attività della giornata), nella fotografia, nella musica, nella “cultura materiale”.

Emblematiche sono le foto, tratte e riprodotte dai 26 album in dotazione: che in gran parte trasmettono l’idea della famiglia moderna, sorridente, ben vestita e dotata di tutti i confort nel contesto – dopo il 1923, con la proclamazione della repubblica – della giovane Nazione che aspira a diventare prospera e forte; ma c'è spazio anche per la musica d'epoca proveniente dai dischi della collezione Bağana, per una video-animazione sul soggiorno berlinese del protagonista, per l'odore di lavanda – distintamente percepibile – citata in alcune lettere, per qualche volume della biblioteca di casa, per gli oggetti più cari come medaglioni che custodivano ritratti fotografici e ciocche di capelli, per la lista di quanto acquistato – dall'occorrente per il rinfresco agli abiti – in occasione del matrimonio di Semiramis figlia di Said Bey. Con orgoglio di classe. 

01-02-2014 | 20:24