La Brexit e Joyce: cos'è una nazione?

Da oggi 24 giugno 2016, il Regno Unito non è più in Europa. Il Regno Unito non è così “unito” e rischia di diventare sempre meno unito. La Gran Bretagna rischia forse di diventare più “grande”, o di perdere del tutto la qualifica stessa di “grande”. Come ha affermato il lucidissimo Professor Michael Dougan (Università di Liverpool), pretendere di capire cosa succederà ora è pura illusione (specie dal punto di vista economico), sia da parte dei sostenitori di Brexit, sia da parte di chi ha lottato strenuamente per rimanere in Europa. Ciò che invece “rimane” davvero è la modalità – linguistica e retorica in primo luogo –  con cui la campagna pro-Brexit ha espresso le proprie ragioni e come un certo linguaggio sia penetrato tra il 52% della popolazione inglese andando a formare uno spirito di aggregazione e un atteggiamento socio-politico e socio-culturale incentrato sulla dicotomia “noi vs loro”, una dicotomia netta e priva di sfumature, priva di quelle sfumature che dovrebbero rappresentare l’essenza dell’essere umano e l’identità dell’individuo.

Pare doveroso ricordare come certi commenti di cieco nazionalismo purtroppo emersi di recente siano parte di un concreto atteggiamento socio-culturale e politico che potremmo definire trasversale, aspaziale, astorico e atemporale. Un atteggiamento che caratterizza varie personalità in varie nazioni e in varie epoche e le cui radici sembrano affondare in un senso di inferiorità e di insicurezza (che non a caso emerge sempre in delicati periodi di crisi economica o sociale) misto a un senso paradossale di superiorità, un’illusione di essere migliori degli altri per sentirsi al riparo dalla minaccia dei veri “migliori” e dalla paura dei “diversi”. I diversi sono quelle persone che non si riconoscono subito e che non possono essere facilmente etichettate o che, forse, e possono essere etichettate troppo facilmente e troppo semplicisticamente.

Che questi siano sentimenti aspaziali e atemporali è suggerito da numerosi filosofi, sociologi, artisti e scrittori.  James Joyce – tra gli altri –  ha estesamente trattato l’argomento e oggi alcune delle sue riflessioni sembrano, seppure in maniera allarmante, utili ed eloquenti. L’autore irlandese ci comunica infatti come certi atteggiamenti siano rischiosi e totalmente anacronistici.  Molti sono i riferimenti al nazionalismo irlandese che Joyce – nazionalista anch’esso come dimostra la sua costante celebrazione dell’Irlanda e di Dublino – inserisce nelle sue pagine. Due personaggi in particolare sembrano ora decisamente significativi: Miss Ivors ne I morti e il Cittadino ne I Ciclopi, il dodicesimo episodio di Ulisse.

Miss Ivors è un personaggio grottesco, patetico, nazionalista e simbolo (insieme agli altri) di quella “paralisi” delle strutture sociali e mentali che Joyce denuncia in Gente di Dublino. Il nazionalismo cieco e bieco, anzi, non è solo il simbolo della paralisi ma “è” la paralisi stessa.  Durante il ballo che fa da sfondo alla prima parte del racconto, Miss Ivors aggredisce verbalmente il protagonista Gabriel e influisce sulle sue percezioni e sui pensieri di morte (letterale e figurata) che egli andrà poi sviluppando fino alla fine. Durante la serata, Miss Ivors lo accusa di essere “troppo poco irlandese e patriottico”, di simpatizzare per l’Inghilterra, di non curarsi troppo della sua vera lingua, il gaelico. Lo accusa di essere un “west brixton” perché scrive per un giornale, il Daily Express, che simpatizza per l’Inghilterra, e infine perché egli stesso le rivela di non voler passare le vacanze in Irlanda (come suggerisce lei) ma di aver organizzato un viaggio nel continente. Inaccettabile. Forse colpita anch’essa dalla conversazione, lascia poi il ballo salutando trionfalmente in gaelico con le parole “Beannacht libh” (“farewell” in inglese). Un personaggio ridicolo e unilaterale, incapace di vedere le sfumature, incapace di accogliere la diversità come sinonimo di ricchezza.

Ma forse il personaggio che più di tutti incarna certi anti-ideali è il nazionalista “Cittadino” (“the Citizen”).  Il dodicesimo episodio di Ulisse è modellato sul libro 9 dell’Odissea e il cittadino è l’equivalente moderno di Polifemo, il celebre ciclope da un occhio solo. Il Cittadino ha sì due occhi, ma le sue vedute sono talmente ristrette che è come se non ne avesse nessuno. Non è un caso infatti che Joyce giochi ripetutamente con l’omofonia dei termini “I” (io, ego) e “eye” (occhio) a indicare come l’identità del personaggio sia mimetica con le sue vedute parziali e con la sua incapacità di vedere se non solo in una direzione.  Anche questo è un personaggio parodico descritto in maniera esagerata e grottesca. Come Polifemo, isolato nella sua caverna, così il cittadino vive isolato nel suo spazio mentale, incapace di qualsiasi apertura verso l’esterno. Egli parla in Irlandese al suo cane, prende in giro Leopold Bloom per le sue origini ebree e non fa che blaterare sulla dignità della cultura e della lingua irlandesi. Il suo nazionalismo è cieco, barbaro, ottuso, al limite del surreale. Si offende e si arrabbia, disgustato dal fatto che Bloom affermi di essere Irlandese solo perché è nato lì. Anche questo inaccettabile. Lo prende in giro, lo attacca ripetutamente.  A Bloom viene poi chiesto di definire il concetto di “nazione”, nel passo seguente:

- Persecuzione, dice lui, la storia del mondo ne è piena. Un perpetrare di odio nazionale tra le nazioni.

- Ma tu lo sai cosa significa “nazione”, dice John Wyse.

- Sì, dice Bloom.

- Che cos’è, dice John Wyse.

- Una nazione? Una nazione è la stessa gente che vive nello stesso luogo [dice Bloom]

- Per Dio, replica Ned ridendo. Allora sono una nazione pure io che vivo nello stesso posto da cinque anni.

Già. Siamo tutti, in un modo o nell’altro, una nazione. Ma siamo anche noi “la gente”, la “stessa gente”.  E senza questa consapevolezza, una vera crescita sociale, morale ed etica pare proprio difficile. Oggi specialmente. 

 

 

24-06-2016 | 14:48