Il museo dello zelo ideologico

Ci sono luoghi della memoria che non hanno la spettralità dei lager nazisti, non l'impatto sconcertante delle cataste di teschi dei killing fields cambogiani e nemmeno la suggestione monumentale dei cimiteri bellici americani dell'ultimo conflitto mondiale. Uno di questi luoghi sembra il monumento inconsapevole alla banalità del male, così ben descritta nell'opera di Hanna Arendt: il museo della Stasi a Berlino.

La Stasi, acronimo di Ministerium für Staatssicherheit (Ministero della Sicurezza di Stato) fu creata nel febbraio del 1950 come una sorta di clone in salsa tedesca del già tristemente noto KGB, il servizio segreto dell'Unione Sovietica.

“Spietati come i sovietici con una precisione tutta germanica”, così venivano definiti i funzionari e gli agenti della Stasi, un vero e proprio ministero per la repressione e lo spionaggio della DDR, più nota come Germania Orientale. L'organico della Stasi arrivò a contare più di 100 mila dipendenti tra dirigenti, impiegati, agenti e informatori di cui 9 mila nella sola Berlino. Una struttura titanica per uno Stato che al suo epilogo, nel 1990, arrivò ad avere poco più di 16 milioni di abitanti.

Tale gigantismo si rivela anche nelle strutture del suo quartiere generale berlinese. La Sede centrale della Stasi occupava infatti un complesso smisurato di grigi ed enormi falansteri di stile sovietico, nella periferia di quella che una volta era Berlino est, e per inciso nel plumbeo e triste quartiere di Lichtenberg.

Aggirandosi oggi per gli uffici che una volta ospitavano i più alti dirigenti della Stasi vuol dire essere immediatamente colpiti dal loro aspetto austero e spartano: piccole stanze dotate solo di una scrivania di compensato, di un telefono e uno schedario. L'unico addobbo concesso era un ritratto di Karl Marx e di Friedrich Engels.

A fare però da contraltare a una tale sobrietà negli ambienti di lavoro di alcuni degli uomini che furono tra i più potenti dello Stato tedesco orientale, rimangono i titanici schedari nei quali meticolose spie, supportate da un grande esercito di impiegati, hanno raccolto, elaborato e messo in correlazione tra loro miliardi e miliardi di informazioni su milioni di loro stessi cittadini.

È infatti incredibile come un apparato spionistico tanto esteso quanto efficiente come la Stasi dedicasse una percentuale veramente esigua delle sue risorse per lo spionaggio e le attività di intelligence all'estero. L' unico paese infatti sul quale si concentravano tali attività era il “fratello rinnegato” tedesco occidentale, ovvero la Repubblica Federale Tedesca.

Secondo diverse testimonianze di ex agenti e funzionari circa un cittadino tedesco orientale su tre sarebbe stato spiato o intercettato in modo più o meno continuativo. Se a questo numero andiamo a sommare anche coloro che sono stati controllati in modo saltuario, allora non  è un azzardo  affermare che quasi l'intera popolazione sia stata sotto controllo.

Ma come in ogni Stato di polizia, a fianco della repressione, ci doveva sempre essere una massiccia attività propagandistica e di contro-informazione. In quest'ottica lo sforzo maggiore della Stasi era il continuo tentativo di dipingere il mondo occidentale come individualista, violento, corrotto e decadente. Anche se oggi può sembrare tanto grottesco, quanto incredibile, fu proprio la Stasi negli anni '70 del secolo scorso a diffondere nei cinema nel paese il filone cinematografico “poliziottesco” italiano e a farlo diventare suo malgrado un genere di culto nella Germania dell'Est. Opere come “Milano calibro 9” o “La banda del trucido” sembravano infatti perfetti agli occhi dei biechi funzionari di partito per descrivere una società occidentale dominata da criminalità, prostituzione, corruzione e violenza.

Ma l'opera della Stasi non si limitava al controllo e alla propaganda, anzi, spesso arrivava all'incarcerazione e all'omicidio. Circa 40 mila persone in 40 anni di storia della DDR furono imprigionate per opera del servizio segreto. Difficilmente quantificabile rimane invece il numero di coloro che sono stati uccisi, essendo gli agenti dei maestri nel simulare incidenti e suicidi.

Percorrere oggi i meandri desolanti dei plumbei falansteri che videro interrogatori, torture e vessazioni di ogni tipo, contro oppositori politici o presunti tali, è un colpo diretto allo stomaco, una discesa negli inferi dello zelo ideologico del tempo che fu. Gli stessi elementi che secondo Hannah Arendt costituiscono la base del potere totalitario. Ma che, paradossalmente, ne rappresentano anche i possibili germi di distruzione.

 

 

03-11-2014 | 20:31