Il latino vive e lotta insieme a noi

Lingua morta? Non proprio o, per lo meno, non del tutto: il latino vive ancora tra noi, anche se spesso non ce ne accorgiamo. Certo, occorre ammettere che la lingua di Cesare e Cicerone negli ultimi secoli non ha goduto di buona stampa. Già in Manzoni troviamo, ad esempio, un’ironia assai tagliente. Quando don Abbondio enumera in latino gli impedimenti dirimenti, Renzo sbotta: «Si piglia gioco di me? […] Che vuol ch’io faccia del suo latinorum?». Così il termine <latinorum>, trascinando con sé la lingua che ironicamente designa, appare sinonimo di <discorso oscuro>.

Tutto vero, almeno nella percezione comune; eppure l’italiano che parliamo oggi non è altro che il latino del terzo millennio. O, viceversa, il latino può essere considerato <una fase antica dell’italiano>, come ha scritto lo studioso Alfonso Traina. Sì, perché non c’è interruzione nell’evolversi di una lingua, bensì una costante evoluzione, che ne muta, giorno dopo giorno, la fisionomia. Ma c’è di più. Prendete questa frase, infarcita di latinismi diretti: <Nonostante le critiche a priori contro di lui, Rossi, che - sia detto inter nos - è stato l’autentico deus ex machina della trattativa, agendo cum grano salis è riuscito a siglare un contratto valido erga omnes, in grado di aumentare stabilmente il reddito pro capite dei lavoratori, dopo l’una tantum di marzo: è proprio vero, nemo propheta in patria; ma, rebus sic stantibus, ora sarà il momento del redde rationem all’interno del sindacato>.

Ora, certamente è difficile leggere o ascoltare frasi che contengano tanti latinismi diretti tutti insieme; d’altra parte, chiunque potrà ammettere d’avere udito almeno una volta, in contesti differenti, tali espressioni, che appaiono di uso comune e trasversale a diversi ambiti: si va dal linguaggio economico e sindacale fino alla lingua del diritto e dei giornali. Senza contare poi le numerose parole la cui etimologia rimanda direttamente al latino.

<Siamo tutti latinisti>, insomma: così Cesare Marchi intitolò, negli anni Ottanta, un fortunato saggio in grado di ottenere un successo superiore a ogni aspettativa, forse perché, come notò l’autore nell’introduzione, la lingua morta, estromessa dalla scuola, dove viene studiata sempre meno, si è presa <una spavalda vendetta penetrando nel linguaggio della burocrazia, della politica, dell’economia, dei tribunali, dello spettacolo, dello sport, grazie alla sua capacità di condensare il massimo di pensiero nel minimo di parole>. 

Inoltre, nelle stesse pagine curiosamente Marchi immaginò di avere incontrato Marco Tullio Cicerone in sogno; il celebre oratore romano, invitato a un cineclub, si compiacque della rassegna di film storici che prevedeva <Quo vadis?> (oggi l’elenco andrebbe naturalmente aggiornato con <Quo vado?>, targato Checco Zalone), <Fabiola> e <Anno Domini>; fu contrariato (<una violenza – commentò - ai danni del latino>) nel sentire ministri che annunciavano l’ennesima una tantum (vuol dire infatti <una volta soltanto>, non <una volta ogni tanto>, ma i politici - si sa -  interpretano sempre a loro modo!); e, dopo essere entrato in un tribunale, riconobbe subito il giudice a latere.

Insomma, il latino spunta da ogni parte anche nell’italiano di oggi. E poi la chiamano lingua morta…o tempora, o mores!

 

 

14-02-2018 | 13:36