Il fanatismo dell'Apocalisse

Da qualche decennio i discorsi sul clima e sulla salute del pianeta Terra si sono decisamente militarizzati. “Bombe d’acqua”, ultimo in ordine di tempo, è un neologismo entrato a far parte della nostra vita quotidiana. La vicina di casa non parla più di nubifragio o di temporale violento, la vicina di casa dirà: “Hai visto che disastro? Le previsioni del tempo erano azzeccate, è una bomba d’acqua”.

Basta poi farsi un giro nella piazza del paese, al bar, nei supermercati o dal fornaio per sentire accesi dibattiti incentrati sul tema dei cambiamenti climatici. Ad un certo punto della discussione, statene certi, qualcuno spiegherà  che: “È madre natura che non ne può più degli esperimenti umani, si ribella al nostro inquinamento”. Riceverà cenni di assenso e solidarietà, in molti si diranno d’accordo con l’analisi che colpevolizza l’Uomo e una certa dose di scetticismo, un tempo indice saggezza, diventerà sinonimo di cecità.

Per non cadere in questo catastrofismo e per non annegare nel gigantesco pentolone dell’ambientalismo penitente può essere utile leggere un interessante saggio: “Il fanatismo dell’apocalisse”, del filosofo francese Pascal Bruckner. Il testo, edito da Guanda per la collana “Biblioteca della Fenice”, è un resoconto completo delle contraddizioni dell’ecologismo più intransigente.

Dopo la fine del sogno marxista la lotta al capitalismo è dapprima confluita nel terzomondismo: movimento che, deluso dagli operai imborghesiti, ha spostato il bersaglio sull’imperialismo occidentale. Infine per l’ambientalista fanatico, che non promette il paradiso in Terra ma denuncia esclusivamente un inferno imminente, il responsabile dei mali del mondo è l’Uomo.

Al posto del proletariato c’è la Terra, un pianeta che resiste punendo chi la distrugge. La frase “Madre Natura si ribella per darci una lezioncina” crea un paradosso: accusando l’essere umano dei mali dell’universo si finisce per antropomorfizzare la Terra, assegnandole volontà di vendetta e sentimenti.

Questo pensiero, presentatosi come fieramente antireligioso, tuttavia affonda le sue radici nel racconto “La caduta dell’uomo”. Questa parte della Genesi riporta che l’uomo, colpevole di aver assaggiato il frutto proibito, ha perso il paradiso terrestre. Con un piccolo sforzo mentale basta spostare in avanti la data della dannazione all’avvento prima del progresso, e poi della società dei consumi, per notare il legame tra narrazioni.

Il ribelle visionario, tramite l’indignazione, si trasforma in un boy scout impegnato a spiegare che “la grandezza dell’uomo sta nell’evitare e non nel compiere”.

Il fanatico ispeziona ogni attimo della vita quotidiana, dal dormire al farsi la doccia, dai mezzi di trasporto utilizzati al mangiare. In particolare, ogni alimento è potenzialmente pericoloso: il consumo di carne su tutti innesca una serie di conseguenze che, seguendo improbabili leggi causa-effetto, legano gli allevamenti intensivi all’effetto serra. Risalendo faticosamente la china si giunge a collegamenti piuttosto esagerati. Ad esempio molti prodotti tipici, le ricette tradizionali ed il piacere di condividere un buon pasto, diventano veri e propri crimini contro il pianeta.

Bruckner parla di “filosofia del crepuscolo” per indicare questo atteggiamento che pare più interessato a punire l’uomo, piuttosto che a salvare la natura. In tutta evidenza, tale catastrofismo, a tratti comico, diventa un problema per l’ambientalismo stesso. Una retorica così impostata - i presidenti sudamericani sono eccellenti oratori in questo campo - diventa puro avanspettacolo e finisce per scoraggiare anche le buone intenzioni.

Affermazioni del tipo “gli oceani sarebbero sull’orlo di una crisi biologica mai vista negli ultimi 55 milioni di anni”, scatenano una contraddizione evidente. Per bloccare un cataclisma dai tratti apocalittici vengono proposti rimedi come non accettare imballaggi ingombranti, regolare il termostato, usare lampadine a basso consumo e magari diventare vegetariani.

Siamo davvero sicuri che usare la bicicletta e non la macchina potrà salvare gli oceani e il mondo? Come il cane che cerca di mordersi la coda si finisce per appoggiare l’immobilismo. “Inventare il treno significa inventare il deragliamento e inventare l’energia elettrica significa inventare anche la sedia elettrica”, dice Paul Virilio in preda al principio di precauzione che si trasforma in delirio.

La scelta è dunque tra due atteggiamenti: attendere afflitti, tra mille ansie, la “bomba d’acqua” finale e redentrice, oppure sposare una ricerca continua, ma il più possibile consapevole dei rischi connessi ai vantaggi tecnologici.

E in ultima analisi, riprendendo le parole del filosofo francese: “Bisogna soprattutto salvare il pianeta da quelli che si autoproclamano suoi salvatori”. 

 

 

01-08-2014 | 16:17