Il cammino color pastello

I tetti delle case sopra Dolonne sono lastre di pietra naturale, a lose, come si dice qui.

Con il sole si scaldano e luccicano, con la pioggia si fanno grigi, plumbei, opachi. Camminare sopra Courmayeur, ultimo passeggio di una settimana valdostana, per respirare l’estremo, piccolo sole di un’estate mai cominciata che già sta virando verso un veloce autunno.

Dopo il ponte di legno e il sentiero di sassi battuti sulle radici affioranti dei pini, si gira sulla destra uscendo dal bosco per oltrepassare il torrente e poi risalire verso il centro abitato da sud, costeggiando una stalla di mucche. Proprio lì a fianco calpestiamo una piccola lingua di prato verde, punteggiato da bianchi fiori.

Il profumo e il colore in un mazzetto appena raccolto, come il vino: accenti pastello dei bianchi valdostani, tratteggiati, esili e tenui.

Scoprire vini, in una piccola regione che presenta i più alti monti della nostra penisola, dove lo spazio per l’agricoltura e le coltivazioni è davvero esiguo, è stato il tema del nostro camminare. La Valle d’Aosta presenta una grande valle centrale, lunga circa novanta di chilometri, da cui si irradiano altre piccole vallate. Le altissime montagne, Monte Bianco, Monte Rosa, Gran Paradiso e Cervino, i ghiacciai, il fiume, la Dora Baltea, e la conformazione orogenetica dei terreni sono venuti a determinare un microclima particolare che si è dimostrato nel tempo adatto alla produzione di rossi, di passiti, ma anche, appunto, di bianchi dalla spiccata acidità. Queste sono le vigne più alte d’Europa e si sviluppano su terre povere, segnate dalla neve dal primo autunno fino alla primavera inoltrata. Senza contare poi i disagi per l’innesto, i dislivelli, le pendenze faticosissime; motivi, questi, che fanno dei viticoltori aostani veri e propri pionieri del vino.

Tra i comuni di Montjovet e Arvier i vigneti sono disposti a gradoni e partono dalle rive del fiume per arrivare quasi in verticale alla parete rocciosa della montagna: una salita pazzesca che ricorda la raffigurazione dell’inferno dantesco.

Per ottimizzare produzione e vendita in Valle d’Aosta è molto diffusa la costituzione di cooperative che hanno permesso, nel tempo, di pianificare il rilancio di vitigni tipici e di antica coltivazione.

La Valle d’Aosta conta oggi su otto denominazioni di origine controllata che si identificano con le località di provenienza. La Doc generica Valle D’Aosta, che si estende per ottanta chilometri, lungo la valle della Dora Baltea e altre 7 localizzate, appunto. La Doc Blanc de Morgex et de La Salle, nei comuni omonimi della Valdigne. La Doc Chambave, tra i comuni di Chambave, Saint-Vincent, Pontey, Châtillon, Saint Denis, Verrayes, Montjovet. La Doc Nus, nei comuni di Nus, Verrayes, Quart, Aosta, Saint-Christophe. La Doc Arnad-Montjovet, nei comuni di Arnad, Verrès, Issogne, Challand-Saint Victor, Hône, Champ-Depraz, Montjovet. La Doc Torrette, nei comuni di Quart, Saint-Christophe, Aosta, Sarre, Saint-Pierre, Charvensod, Gressan, Jovençan, Aymavilles, Villeneuve, Introd. La Doc di Donnas, nei comuni di Donnas, Pierloz, Pont St. Martin, Bard. E, infine, la Doc di Enfer d’Arvier nel solo comune di Arvier.

 

In viaggio con i vini (a piedi)

Cave du vin Blanc de Morgex et de la Salle, Blanc de Morgex et de La Salle Brut Vini Estremi.

La viticoltura raggiunge qui i suoi estremi; vigneti al limite della resistenza climatica, con inverni rigidi e prolungati, che lasciano spazio a primavere brevi ed estati tiepide appena sufficienti a produrre quel poco di zucchero indispensabile per la produzione di vini di qualità. Il risultato è un vino estremamente fine nei profumi, freschi, delicati e sottili nel corpo, con una caratteristica colorazione quasi trasparente del vino a indicare la difficoltà, a queste altitudini, di elaborare sostanze coloranti durante la maturazione delle uve. Sono vini che affascinano per la loro delicata sinfonia, composta, con una nota leggermente acidula e particolarmente fine nell’espressione. Queste caratteristiche vengono esaltate nel Brut, vino spumante ottenuto con le medesime uve e lasciato sui lieviti per la rifermentazione in bottiglia. Ottimo lavoro per gli oltre cento conferitori che, con produzioni inferiori a quelle consentite per il consumo personale di vino (circa mezzo ettaro), rappresentano un mosaico unico nella realtà del panorama italiano.

Cave du vin Blanc de Morgex et de la Salle, Blanc de Morgex et de La Salle Vin de Glace.

I vini di ghiaccio sono tipici della Germania più fredda e oggi del Canada, che per ovvie condizioni climatiche si presenta come uno dei maggiori e migliori paesi produttori di icewine. Infatti non capita sempre nel vecchio continente Europa di avere le condizioni ottimali per la produzione di questi vini, dove ricordiamo che la temperatura al momento della raccolta deve essere compresa tra i –8 e i –12 °C.

Queste temperature sono indispensabili per permettere il congelamento di parte del succo contenuto nella polpa delle uve ancora appese alla pianta; le molecole di acqua che per prime ghiacceranno, saranno quelle con una percentuale di zuccheri inferiori che, separate, determinano così una concentrazione per freddo, inversa a quella classica di produzione dei passiti per disidratazione da elevate temperature. Il Vin de Glace, sempre ottenuto con Prié Blanc, è raccolto a dicembre, con profumi delicati di fiori bianchi, pera e leggermente alcolico, con buona lunghezza di bocca.

Les Crêtes, Cuvée Bois.

Si propone come un vino ricco e intenso per la zona di origine, con un colore giallo oro che sfuma verso il paglierino, colore atipico per queste zone, ove la trasparenza e le tinte più vicine a quelle dell’acqua che a vini bianchi regnano come legge della natura. Il naso, in armonia con il colore, sprigiona aromi che sono un poco slegati in gioventù, ma che si avvicinano e si fondono con un ulteriore affinamento in bottiglia. Questi profumi, di frutta tropicale fresca, bianca come ananas e mango non particolarmente maturi, si avvicinano a sensazioni più calde, leggermente tostate, di caffè, cacao e vaniglia.

Come ricorda il nome, questo vino si ottiene dalle migliori vigne di Chardonnay che vengono poi messe a fermentare e maturare in barrique per circa un anno.

Les Crêtes, Petite Arvine Vigne Champorette.

Les Crêtes è un’azienda emergente nel panorama vitivinicolo della Valle d’Aosta e, sebbene sia piuttosto giovane, ha già lasciato intendere il ruolo di leader rispetto a una regione piccola e non molto significativa dal punto di vista delle quantità prodotte, ma che si differenzia per la freschezza e l’eleganza dei suoi vini. Infatti oggi, dove la viticoltura moderna porta a più elevate concentrazioni in zuccheri e quindi a tenori alcolici più elevati, risulta sempre più difficile reperire sul mercati vini di qualità, non eccessivamente alcolici.

Ecco perché apprezziamo i vini valdostani che riescono a coniugare personalità e finezza in un'unica materia. Il Petite Arvine si apre con aromi di frutta agrumata fresca, bianca, fine e con aromi che riportano ai fiori di pesco e acacia.

Al palato prevale una freschezza che avvolge e pulisce, lasciando la bocca asciutta e ricca in persistenza, supportata dall’acidità. Vino che nella maturazione sviluppa aromi decisamente più floreali, tipici di questo vitigno, che lo avvicinano a gamberi di fiume saltati con erbe aromatiche.

La Crotta di Vegneron, Nus Malvoise Flètri Nonus.

Ci piace molto la cooperativa vinicola La Crotta; testimone di una vitivinicoltura difficile, quella della montagna valdostana, ma anche di varietà d’uva locali interessanti e poco conosciute fuori dai confini regionali. I vitigni dei soci conferitori si trovano nelle zone più vocate nei comuni valligiani di Nus, Varrayes, Saint-Denis, Chambave, Chatillon e Saint-Vincent.

Le elevate temperature che si raggiungono durante il giorno, a confronto con quelle assai basse registrate durante la notte, offrono uve raffinate, dai contenuti aromatici peculiari che si riverberano nel tratto dei vini. Il Nus Malvoisie Flètri Nonus ci racconta questo luogo.

Dal colore ambrato brillante con sfumature rosa antico, al naso il vino è molto intenso, persistente; sentori di frutta matura, prugna, marasca, fico secco, dattero si incontrano con una leggera speziatura e vaniglia. Al palato l’ingresso dolce non è svenevole, anzi. Il corpo molto denso e zuccherino del vino incrocia una nota amarognola e, ancora, piccante di pepe bianco.

La nostra passeggiata enologica si chiude con un Pinot Noir, il più bianco tra i vitigni a bacca rossa.

Gabriella Minuzzo, Pinot Noir.

Definire queste produzioni vinicole fa quasi sorridere, eppure questa è la realtà valdostana, ricca di microscopici produttori che comunque riescono a distinguersi per una qualità dei vini eccelsa. Parlare e descrivere il Pinot Noir e le montagne è come associare, almeno per quanto riguarda l’Italia, due valori concatenati, gli uni e gli altri legati e inseparabili in quell’espressione di purezza e finezza.

Se il vento si potesse rappresentare con un vino sarebbe sicuramente questo, fine e sottile, a volte pungente, che accarezza ma non tocca. Peccato, o per fortuna, queste aziende sono così piccole da non essere significative nel panorama italiano, ma sono quanto di più si avvicina alla realtà di una regione che vede frammentata la produzione e che fatica per i numeri oggettivi di bottiglie prodotte a varcare i confini regionali o piemontesi.

Struggente questo Pinot Noir, nella sua freschezza e fragranza, leggero e sottile come il profumo della prima neve che non tarderà ad arrivare.

 

 

10-09-2014 | 15:16