Gli scritti corsari di José

Sono passati pochi mesi dalla tragedia dell’11 settembre a New York. Come definirebbe questo momento storico? 
Il momento storico che stiamo attraversando, dopo quello che è accaduto a New York, non lo vedo molto diverso rispetto a dieci o quindici anni fa: i problemi ci sono sempre stati. Non dobbiamo pensare che il problema di oggi sia l’Islam, il vero problema che abbiamo è quello della disuguaglianza: un problema che ha portato milioni di persone a non essere protette. Spesso mi accusano di essere contrario allo sviluppo tecnologico, alla conquista di Marte: non sono assolutamente contrario a questo però non capisco il motivo per cui gli stati occidentali spendano così tanti soldi per queste cose, quando si potrebbero utilizzare per migliorare la vita di milioni di persone. Mi accorgo che esistono delle manovre, più o meno pilotate, per distogliere la gente dalla realtà, dai veri problemi.

Lei se la prende spesso con i media, senza paura di essere impopolare. 
Ci continuano a far vedere le immagini di morte delle torri gemelle e delle tante vittime americane: non capisco perché le vittime di NewYork debbano essere più importanti delle vittime del Ruanda, di cui nessuno parla. Dobbiamo decidere se vogliamo un mondo di ricchi, dove i tutti i poveri stanno ai margini, o creare un mondo dove il benessere sia per tutti.

Vivere alla fine di un secolo di sangue, caotico e violento, mostruoso e grottesco come il Novecento, un secolo di grandi innovazioni tecnologiche e di orribili tragedie, impone a chi scrive vecchie e nuove responsabilità. Quali sono queste responsabilità? 
Uno scrittore non ha, e non avrà mai, nessuna responsabilità. La responsabilità è solo del cittadino, di tutti noi: uno scrittore si esprime più di un altro ma non penso che abbia più responsabilità.

Però lo scrittore ha un occhio più attento, più vigile sulla realtà che lo circonda. 
La responsabilità non c’entra. La letteratura a volte anticipa la realtà: Kafka scrisse ad inizio secolo, senza saperlo, come sarebbe stata la nostra società alla fine del millennio. Senza fare comparazioni mi azzardo a dire che anche il mio romanzo Cecità ha preceduto molte delle situazioni che viviamo ora: siamo in uno stato di cecità, non vediamo la realtà. Ripeto: vediamo sempre gli aerei che cadono sulle torri gemelle, ma non vediamo cosa accade realmente nella guerra in Afghanistan. Abbiamo una visione parziale del mondo che ci circonda e per questo non nascerà mai una vera coscienza critica dell’uomo.

A proposito della letteratura, e sul fatto che molti intellettuali abbiano dichiarato che dopo l’11 settembre anche il lavoro dello scrittore subirà dei cambiamenti? 
Non so come cambierà il mio lavoro dopo questa tragedia e non mi interessa. Scrivere un libro è una cosa piccolissima rispetto alle sorti del mondo: se io dovessi morire domani il mondo non cambierebbe come non è cambiato dopo che ho venduto un milione di copie dei miei romanzi.

Ma allora la letteratura a cosa serve? Umberto Eco ha detto che prepara a situazioni incontrovertibili, dunque alla morte. 
Secondo me la letteratura non serve a niente: sono solo libri! Già Montaigne diceva che filosofare era come prepararsi alla morte: io credo che se la letteratura potesse cambiare il mondo lo avrebbe già fatto. Solo gli individui lo possono fare.

La letteratura non influirà forse sulle sorti del mondo, ma neanche su quelle della lingua? 
La letteratura si nutre della lingua. Non tutti gli scrittori hanno però la capacità di influire sulla lingua: solo pochi privilegiati hanno questa fortuna.

Come è cambiata la sua vita dopo il Nobel?
Sono aumentati gli impegni, le interviste, gli appuntamenti ma la mia persona non è cambiata. Comunque la mia vita non era tranquilla neanche prima del premio.

In conclusione: una volta lei ha scritto, riferendosi ai suoi lettori, che al termine della sua vita avrebbe voluto riunirli tutti per finire i suoi giorni conversando con loro.
Sì, l’ho scritto, anche se riconosco che non sarà possibile. Però mi piacerebbe molto parlare con tutti loro. Credo che nell’opera completa di uno scrittore manchi sempre un libro: la raccolta delle lettere dei suoi lettori. Un libro per capire fino in fondo ciò che ha significato uno scrittore per gli altri.

12-11-2013 | 02:01