E il Verbo si fece Barbie

Quando Pompeo entra vittorioso a Gerusalemme, vuole entrare nella zona più sacra del Tempio, il Sancta Sanctorum. È curioso di vedere come è fatto il temibile e potente Dio di Israele che secondo la tradizione risiede proprio lì. Ma quando il generale romano nel 63 a.C. vi entra va incontro ad una gran delusione. Trova solo una stanza nuda e spoglia, dove «non vi era alcuna immagine di divinità, il luogo era vuoto e il santuario tanto segreto non nascondeva nulla» racconta Tacito. Ma d’altronde «non si può vedere Dio e restare in vita» ricorda il libro dell’Esodo: ecco perché per il popolo di Israele è impensabile poter raffigurare Dio.

Se Pompeo rimane deluso entrando nel Tempio, ancor più sconsolato sarebbe rimasto se – con una macchina del tempo -  fosse entrato in un grande moschea. Anche qui Dio non appare. L’Islam vieta espressamente la raffigurazione di Allah e del suo Profeta e bandisce dai luoghi di preghiera ogni figura umana anche di santi e profeti. Qualsiasi immagine non sarebbe in grado, per i seguaci di Maometto, di poter dare nemmeno una vaga idea di Dio, l’altissimo, l’inconoscibile. E così facendo si tiene lontano anche ogni tentazione di idolatria.

Infatti se l’ebreo credente in un Dio invisibile può almeno vagheggiare nella creatura umana qualche tratto di Jahvè, al musulmano non è data neanche questa consolazione: «Di': Egli Allah è Unico, Allah è l'Assoluto. Non ha generato, non è stato generato, e nessuno è eguale a Lui» recita il Corano alla Sura112.

Sembra quindi che il Dio delle grandi religioni monoteistiche sia irrappresentabile. Ma continuando con le citazioni di testi sacri si arriva ai Vangeli e non si può non inciampare nel prologo del Vangelo di Giovanni: «In principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. E il Verbo si fece carne». Qui la situazione si ribalta rispetto all’ebraismo e all’islam: Dio si è reso visibile attraverso il Figlio, quindi anche rappresentabile. Così grazie all’incarnazione nelle chiese cristiane fiorisce l’arte: ritratti, statue, dipinti, bassorilievi, mosaici, ogni tecnica è lecita per raffigurare il Dio Incarnato così come i suoi santi.

Non che la cosa sia stata facile da far passare. Anzi. Per accettarlo definitivamente la Chiesa di Roma ha dovuto sancirlo in un concilio, il Niceno II del 787, mettendo nero su bianco che «se qualcuno non ammette che Cristo, nostro Dio, possa essere limitato, secondo l'umanità, sia anatema». In gioco non c’erano solo questioni di fine teologia ma guerre, sangue e morti causati dalla furia iconoclasta dell’impero di Bisanzio: cristiani uccidevano altri cristiani considerati eretici  perché era impensabile credere in un Dio contenibile, di cui si potesse addirittura fare un ritratto.

Infatti il solo pensare che l’infinito di Dio sia in qualche modo raffigurabile equivale a pensarlo finito, limitato: una contraddizioni in termini. Eppure è questa la prima conseguenza dell’incarnazione cristiana: «Dio, facendosi uomo, compie ciò che era inimmaginabile: il finito che non aveva alcuna possibilità di contenere Dio, ora, per sua grazia, lo contiene» disse Benedetto XVI nel 2009.

Ma se per i dotti dipingere il volto di Dio può essere uno scandalo, gli ultimi invece ne traggono molti vantaggi. I dipinti e le statue che invadono le chiese diventano utili perché gli ignoranti «guardandole possano almeno leggere sui muri, quello che non sono capaci di leggere nei libri» raccomandava Papa Gregorio Magno. Ma lo scandalo, magari velato, resiste e nel corso dei secoli di tanto in tanto torna a galla.

L’ultima volta che si è fatto sentire è stato a causa di un’iniziativa forse discutibile di due artisti argentini. I due hanno pensato di creare - per fini espositivi e non commerciali – una nuova collezione di Barbie accompagnata ovviamente all’inseparabile Ken. Ma l’ambientazione è a carattere religioso e così i due pupazzi sono stati acconciati come la Madonna, San Giuseppe, Cristo in Croce. Anche Budda ha preso le fattezze di Ken ma non compaiono nella collezione bambolotti vestiti da Jahvè, per non parlare di Maometto e Allah. «La nostra opera – spiegano gli autori – cerca di omaggiare e di non arrecare alcun tipo di offesa a nessuna religione. Ci siamo impegnati molto per rispettare tutte le credenze e infatti non rappresenteremo Maometto perché l’Islam considera offensivo raffigurare il Profeta». Le immagini hanno fatto subito il giro del mondo accompagnate dallo sdegno di molti nel vedere l’efebico Ken inchiodato alla Croce come Nostro Signore.

Solo l’ultimo di una serie infiniti di casi in cui l’arte scandalizza per la pretesa di poter imbrigliare la potenza divina, magari anche con poco rispetto e deferenza. Offendendo, come si dice spesso, la sensibilità dei fedeli. La stessa cosa – si perdoni l’ingiurioso accostamento – avvenne nella Roma papalina del XVII secolo quando furono esposti alla venerazione dei fedeli piedi nudi, sporchi e lerci giusto in primo piano sopra l’altar maggiore. Piedi di umili pellegrini che si inginocchiano davanti ad un bambin Gesù ormai grandicello e forse troppo svestito per l’età; tenuto in braccio da una Vergine ispirata ad una modella i cui costumi erano parecchio chiacchierati. Il capolavoro è la Madonna dei Pellegrini e quando Caravaggio la finì, raccontano le cronache, «ne fu fatto dai preti e da' popolani estremo schiamazzo».

 

 

22-10-2014 | 16:03