Cappuccetto Rosso deve morire /35

21.00

Il Commissario era rimasto a cena al Villaggio, deciso a godersi quelle ultime ore di tranquillità. Nell’ufficio del Direttore aveva buttato giù una prima bozza del rapporto, che avrebbe poi ultimato e rivisto il mattino seguente in commissariato prima di andare dal magistrato.

L’atmosfera era ritornata a essere quella di sempre e sembrava che le tensioni che aveva notato il giorno prima e quella mattina fossero dissolte nella salsedine.

Giocherellò col bicchiere di prosecco che stava sorseggiando prima di cena. Stava aspettando Labile, che probabilmente era stato trattenuto da qualche medico o manager o da qualche telefonata. Si stava domandando per quale motivo era riuscito a risolvere in poche ore un caso che nei due giorni precedenti aveva a malapena scalfito: era stata la pressione che gli aveva fatto il magistrato? O forse un improvviso colpo di fortuna o di genio?

Non sapeva dirselo per il momento e preferì mandar giù un altro po’ di prosecco piuttosto che continuare inutilmente a chiederselo. Gli squillò il cellulare:

«Dottore, ho portato Russo. Rimango ancora un po’ così metto a posto le carte e poi vado a casa».

«Ha detto qualcosa?».

«No, nulla. Ma ho notato una cosa: mentre lo portavo in commissariato mi sono messo a stuzzicarlo per fargli perdere il controllo e dire qualcosa, ma mentre per Marinaro sembrava non raccogliere la provocazione, per Lagri s’infuriava dicendo di non essere stato lui».

«In effetti Vargiu mi ha detto che non è stato un omicidio, nel caso di Lagri. Comunque ci serve un campione di dna da Russo. Vedi un po’ tu».

«D’accordo, dottore».

«Va bene, ci vediamo domani. Tienimi informato».

«Certo: per qualsiasi cosa la chiamo».

«Va bene».

Si salutarono e chiusero la comunicazione. “Strano...”. In quel momento arrivò Labile.

«Scusi il ritardo, Commissario: i soliti scocciatori che ti aspettano al varco. Ormai si conclude di più a pranzo e a cena che in consiglio d’amministrazione» disse sorridendo.

«Eh, caro Labile, questo succede quando facciamo un lavoro che coinvolge la nostra vita».

«Verissimo: più ti identifichi col tuo lavoro più ne sei schiavo e gli orari diventano un optional». Prese la bottiglia di prosecco dal secchiello del ghiaccio, le sistemò intorno l’imbracatura colorata del tovagliolo e se ne servì un flûte. Sorseggiò e poi poggiò le mani sul tavolo, stendendo le braccia come a stiracchiarsi per rilassarsi. «Caro Commissario, non è meravigliosa la comodità di avere nello stesso Villaggio sia il ristorante a buffet che quello su ordinazione?».

«Non potrei essere più d’accordo. E il bello è che qui si può anche fumare» disse accendendo mezzo sigaro.

In quel momento arrivò il cameriere che aprendo il taccuino elencò i piatti del giorno.

«Cosa ordiniamo?».

Il cameriere sembrava eccezionalmente solerte quel giorno e la sua divisa era impeccabile. Come se tutto fosse stato messo a nuovo per dimenticare meglio le cose accadute nelle ore precedenti.

Pasta alla marinara, pasta alla crudaiola, carpaccio di pesce spada, frutti di mare.

«Ha sentito di Roberta Giano?».

«Sì, poverina. Per fortuna aveva quella cugina in paese, altrimenti non so cosa le sarebbe potuto succedere, chissà che fine le avrebbero fatto fare» rispose il Commissario, che tutto avrebbe potuto immaginare, meno che la Giano stesse andando da sua cugina quella mattina in bicicletta.

«Una tragedia, incredibile. Addirittura avere delle allucinazioni e credere che suo marito fosse vivo. Chissà che trauma: prima il fratello, poi il marito. Ora l’amante».

Il Commissariò si rabbuiò, ma per poco e senza darlo a vedere. Chinò il viso e lo tenne basso il tempo necessario per ricomporsi evitando che Labile gli chiedesse che cosa stesse pensando.

«E ora, visto che sono curioso come una scimmia, mi dica cos’è successo quando è andato dietro a Russo».

«Molto bene. Dunque, come lei sa...» s’interruppe, vedendo a un altro tavolo Maugeri mangiare da solo. Si scusò con Labile e andò al tavolo di quell’altro.

«Le spiace se mi siedo?».

«Prego, Commissario».

«Mangia da solo?».

«E con chi altro potrei mangiare?», lo sguardo fu eloquente.

«Tutto passa».

«Sì, tutto. Ma non so se stiamo parlando della stessa cosa».

«Io credo di sì. Lei ha la fobia della sabbia per terra. Non l’ho vista molto fra gli altri villeggianti. Però ho trovato la stessa pulizia nella stanza di Lagri. E, inoltre, nel suo diario, accenna a un “Riccardo”... Quindi ho immaginato...».

«Ha immaginato bene».

«Se vuole unirsi a noi».

«No, non si preoccupi. Preferisco star qui, come quando c’era Marco».

Il Commissario annuì e tornò al tavolo da Labile.

«Che è successo?» gli domandò il manager.

«Nulla. Nulla di emozionante. Solo una piccola conferma».

«Posso sapere di cosa?».

«Diciamo che quando mi è venuto in mente il gesto automatico di Mario Antico che buttava via la cenere del portacenere (che poi ho ricollegato alla fotografia di cui scriveva Lagri nel diario), mi sono ricordato di un altro gesto automatico per non sporcare il pavimento con la sabbia... ma non è nulla di emozionante. Dicevamo di Alberto Russo».

Il Commissario raccontò dell’inseguimento. 

02-11-2015 | 12:07