Cappuccetto Rosso deve morire /25

10.00

Il Commissario si sentiva stanco. Non fisicamente, ma mentalmente. Non sapeva se era per colpa del sonno mancato o per qualche altra ragione, ma stentava a mettere le idee in ordine con metodo.

Probabilmente lo aveva messo di cattivo umore la scena a cui aveva assistito mentre tornava a dormire nel proprio appartamento dopo la passeggiata con Labile: una donna stava buttando dell’immondizia nel giardino di un’altra persona.

O forse era d’umore umbratile perché, arrivati al terzo giorno d’indagine, ormai si aspettava da un momento all’altro la telefonata del medico legale che gli comunicava che quello era il suicidio di un uomo con troppi licenziamenti e pensionamenti forzati e lunghe vacanze obbligatorie mal retribuite sulla coscienza. E chissà che pure per Marinaro non avesse ripetuto la tiritera.

Tutto sommato, però, quella prospettiva non gli seccava nemmeno un poco perché aveva iniziato a sentire nell’aria un sentore di sciagura che non gli piaceva per nulla. Era un’atmosfera pesante quella che aveva preso a formarsi da quando era arrivato; come se il delitto (perché tale era per lui fino alla famosa telefonata), che tutti erano prontissimi a dimenticarsi il giorno dopo, fosse stato il promemoria di qualcosa d’insopportabile. E lui, il Commissario, era un’insegna luminosa rossa a forma di freccia puntata dritta dritta su quella cosa insopportabile che tutti volevano disperatamente ignorare.

Anche quel giorno non poté non ritrovare gli stessi segnali di disagio e disfacimento che l’avevano così colpito nei giorni precedenti. Erano ancora tutte lì quelle certe piccole azioni e venivano compiute intorno a lui come se la morte del manager avesse incrinato una patina superficiale di tranquillità che covava risentimenti, invidie e inquietudini da molto tempo.

I cuochi avevano preso a girovagare per le cucine e fra i buffet come interrogandosi della qualità dei cibi, quasi allerta nel caso in cui qualche commensale si fosse sentito male per le mousse o le torte andate a male. Una preoccupazione assillante che era al suo acme fin da quel momento, ed era solo la colazione. A pranzo, probabilmente, si sarebbe fatta così pressante da essere insopportabile, e sarebbe gravata principalmente sui sentori di alici marce o polipi sottolio rancidi. Avrebbero iniziato a percepire cibi guasti anche immotivatamente, come degli isterici.

I ragazzi addetti alla pulizia della piscina si aggirano lungo i bordi coi loro lunghi retini come se non desiderassero fare altro che tenere sott’acqua i bagnanti fino ad affogarli. Il giorno prima il Commissario li aveva visti trattenersi a stento dal maltrattare i bambini che si attardavano di poco oltre l’orario di chiusura, quasi come modesto ripiego per non poterne affogare i genitori.

Gli animatori non auguravano più a nessuno il buongiorno e sembravano stanchi di promuovere le loro ormai rare esibizioni all’anfiteatro. Da un ritmo di cinque spettacoli al giorno, ormai arrivati a uno solo paio scadente. Al Commissario l’aveva detto il direttore in persona, appena mezz’ora prima: conosceva quel gruppo di animatori da anni e non avevano mai dato delle prestazioni così scarse come in quel momento.

«C’è da capirli, date le circostanze…».

«No, Commissario. Lei non li conosce. È insolito, molto insolito».

«Si calmi, non mi sembra il caso di essere così agitato».

«Lo so, lo capisco, ma non posso farci nulla. Il personale di servizio è diventato scorbutico, in cucina sono tutti nervosi, gli animatori invece di animare sembrano cani ringhiosi e gli ospiti iniziano a litigare fra loro. Ieri sera c’è stata quasi una rissa, al bar, per una sedia».

«A cosa crede sia dovuto questo clima».

«Non so se è collegato alla morte di Lagri, ma sicuramente lei non è d’aiuto».

«È la normale procedura».

«Sarà, ma lei va in giro a fare domande come se quel poveretto fosse stato ucciso. Poi ha voluto vedere le registrazioni. Poi mi ha chiesto la pianta del Villaggio. Insomma, si comporta come se ci fosse un assassino qui dentro: sembra di essere in un romanzo della Christie o dentro Cluedo».

«Dimentica Marinaro».

«Un altro poveretto che l’ha fatta finita».

«Certo, soffocandosi con la cinta dell’accappatoio alla maniglia con un sacchetto di plastica in testa».

Il direttore non aveva continuato la conversazione ed era andato via.

Tutta quell’atmosfera non faceva altro che mettere il Commissario di cattivo umore. Per di più l’Ispettore stava tardando: di solito riusciva a perquisire un appartamento, bene e discretamente, anche in meno di un quarto d’ora. Sennò che taglio netto era? In questo caso avrebbe dovuto controllarne sei, per cui ci avrebbe dovuto mettere un’ora e mezza. Se n’era andato alle otto e mezza, per cui a quel punto doveva essere lì. E non c’era.

Il Commissario si disse che se non fosse stato lì entro dieci minuti sarebbe andato a cercarlo. Si mise mezzo sigaro all’angolo della bocca e riprese a osservare le persone che passavano davanti al bar. Per fortuna l’attesa durò poco, l’Ispettore stava tornando al tavolino con lo stesso passo calmo con cui se n’era allontanato.

«Com’è andata?».

«Tutto tranquillo. E ho anche trovato una cosa, ma non mi va di mostrargliela qui».

«Andiamo».

Non era propriamente nervoso, piuttosto era curioso, molto curioso di sapere che cosa avesse trovato l’Ispettore e soprattutto dove. Entrarono nell’appartamento del Commissario e si chiusero dietro la porta. La stanza era in penombra, la poca luce entrava dalle pieghe ricurve della tenda. Si sedettero sul divanetto. L’Ispettore si cavò di tasca un quadernino minuscolo, ancora praticamente nuovo.

«Questo l’ho trovato attaccato sotto al mobile della televisione nell’appartamento di Alberto Russo, appiccicato per i quattro angoli con lo scotch. È il diario di Lagri».

Il Commissario lo sfogliò. I fogli a righe erano coperti di una scrittura minuta, un po’ squadrata, asimmetrica vergata con una biro blu di una tonalità che sembrava virare al violaceo. Le date che si susseguivano sembravano avere una cadenza irregolarmente quindicinale, come di quei diari che vengono tenuti senza metodo, giusto per ammazzare il tempo o sfogarsi o ricordarsi qualcosa di quando in quando. La carta era rugosa, grigia, senza pretese e i fogli erano stati rifilati negligentemente. Era un prodotto scadente, micragnoso. Probabilmente pagato cinquanta centesimi o un euro in un negozio di casalinghi.

«Cosa ne pensa Commissario?» domandò l’Ispettore con una voce insolitamente trepida per lui.

«Non so, lo dovrei leggere. Potrebbe risolvere tutto, ma potrebbe anche non voler dire nulla».

«Ah, dottore, mi sono dimenticato di dirle una cosa che non ho capito bene. Roberta Giano ha detto che suo marito è un manager, ma io, tranne i vestiti e gli effetti personali, non ho trovato niente: se è un manager non dovrebbe avere un portatile, un’agenda, delle carte, insomma, qualcosa?».

«Sì, in effetti è molto strano».

«Mentre tornavo al bar l’ho vista prendere una bici. Vuole che la segua, così vediamo dove va?».

«Meglio se ci vado io. Tu rimani qui e tieni d’occhio Alberto Russo».

«Scusi, dottore, ma non sarebbe meglio il contrario? Io potrei essere in giro per conto suo, quindi se Roberta Giano dovesse accorgersi di me potrebbe essere più logico. E se Alberto Russo, qui, ci vedesse lei invece di me, sarebbe più normale, visto che sa che lei sta sempre qua».

«La Giano mi conosce, potrei dirle tranquillamente di essere in giro tanto per una passeggiata quanto per andare in commissariato e lei non s’insospettirebbe. Di te, invece, sa che stai con me, e se ti vedesse da solo intuirebbe subito di essere seguita. Russo, invece, proprio perché sa che io sono nel Villaggio, non si stupirebbe di vederti».

Il Commissario, che pure trovava ragionevole l’obiezione dell’Ispettore, non seppe dirsi perché aveva voluto comunque seguire lui Roberta Giano. E francamente non tentò nemmeno di capirlo, si accontentò di farsi dare le chiavi della jeep dall’Ispettore e d’intascare il diario di Lagri, che poi avrebbe letto.

 

Uscirono e il Commissario si diresse spedito alla macchina, sperando di fare in tempo a mettersi sulle tracce di Roberta Giano. Si disse che probabilmente, essendo in bici, avesse scelto la via più pianeggiante e non sterrata possibile. L’imboccò velocemente facendo in modo di guidare silenziosamente e senza destare troppo l’attenzione.

17-09-2015 | 12:51