Cappuccetto Rosso deve morire /24

08.00

Quando il telefono trillò, il Commissario si era addormentato sì e no da un paio d’ore.

Era la reception, che gli comunicava che il giudice Marcello Grandi era arrivato. Inutile dire che nessuno lo aspettava, ma probabilmente era lì di passaggio, diretto a migliori destinazioni.

Il Commissario, udendo il nome, se lo disse con una chiarezza cristallina che quella sarebbe stata una giornata infame, da dimenticare in blocco. Si fece la doccia a una velocità sorprendente, probabilmente dei giudici olimpionici gli avrebbero dato un punteggio pieno per quella performance. Pulito e profumato, e anche vestito, che non guasta, in dieci minuti. Uscì in fretta e, appena fuori, si rese conto che quel giorno era diverso dagli altri. I medici, di solito ritardatari, stavano affluendo in massa al ristorante per la colazione, poi sarebbero andati a firmare il registro delle presenze e infine alcuni sarebbero davvero andati al congresso-farsa e altri se ne sarebbero stati belli belli al mare.

Davano l’impressione di essere un esercito silenzioso, custode di segreti di genetica e tradimento, pronto ad assaltare quanto rimaneva delle palme, della piscina e del mare. Mario Antico era distinguibile, appoggiato alla ringhiera del suo balcone, seminascosto fra gli alberi mentre – come in un film – scrutava quello che accadeva. A un certo punto, addirittura, si scambiarono un’occhiata, che se un pittore avesse dovuto immortalarla avrebbe potuto usare solo toni del grigio tanto era ermetica ed estraniata dal contesto. “Non si sente sicuro” pensò il Commissario, trascegliendo ciò che passava negli occhi del dottore.

Camminò velocemente, perché il giudice Grandi, oltre che puntiglioso, era anche burbero come l’usciere di un ministero, per cui sicuramente avrebbe avuto modo di fargli pesare quei dieci, undici, dodici minuti al massimo di attesa. Minuti che avrebbe benissimo potuto trascorrere facendo colazione, fumandosi una sigaretta o facendo una telefonata, se solo non fosse stato che il giudice Grandi a colazione prendeva solo un bicchiere d’acqua, non fumava e il cellulare lo accendeva solo fra le tre e le sei del pomeriggio perché non voleva essere disturbato durante le ore preprandiali di lavoro.

Lo trovò, infatti, irto come un fuso, con la borsa sformata di pelle marrone che sembrava una pelle di cane poggiata per terra e la faccia tirata che somigliava una fionda.

«Scusi dottore, ero dall’altro lato del Villaggio».

Quello abbozzò, con un’espressione che probabilmente avrebbe innescato la reazione violenta di molte persone pazienti, ma al Commissario non fece né caldo né freddo e non perché fosse un uomo molto più paziente di altri, bensì perché il giudice Grandi gli era indifferente come un cracker dopo pranzo. Per di più non lo stimava, dato che lo conosceva abbastanza da sapere che la sua acribia professionale si doveva alla sua scarsa indipendenza morale.

«Lei è qui da tre giorni per questa storia».

«Per la verità oggi è il terzo giorno, ed è appena cominciato».

«Quindi? A che punto siamo?».

«Ieri è morta un’altra persona, stavolta un medico».

«Causa della morte?».

«Stiamo aspettando i risultati. In apparenza sembra un omicidio, ma non posso escludere completamente l’ipotesi di un suicidio».

«Come per quell’altro, Lagri».

«Precisamente. Però bisogna ammettere che così com’era strano il primo è strano il secondo, senza contare che due eventi come questi, ravvicinati e concentrati, sfidino tutte le statistiche».

«Vuol dire che fanno parte di una strategia?».

«Detto in altre parole, sì».

«Molto bene. Allora facciamola breve, perché fra mezz’ora devo essere a cinquanta chilometri da qui: domattina la aspetto nel mio ufficio, per le nove, col rapporto. Quindi, se vuole, ha a disposizione ancora oggi per trovare elementi di prova. Omicidio o suicidio sono affari suoi: con tutti i problemi che abbiamo di questa stagione, l’ultima cosa che ci serve è avere uomini su un caso così marchiano. Mi stupisce che uno col suo stato di servizio stia qui a sdilinquirsi per una sciocchezza così elementare e se non la conoscessi direi che o si è imboscato o, peggio, cerca qualche foto su un rotocalco. Come se già non avessimo questi problemi» ebbe un tic all’occhio.

«Quello sui rotocalchi, al momento, mi sembra sia un magistrato, non un poliziotto».

«Se trova così utile cavillare, faccia pure. Domani, alle nove. Buongiorno».

Si alzò, prese la sua pelle di cane tisico e s’incamminò a velocità sostenuta verso la reception.

Mentre si allontanava, il Commissario lo studiò, cercando di valutare esattamente quanto gli aveva appena detto. Non gli ci volle molto per capire che a Grandi non importava nulla del caso: aveva solo voglia di sbrigarsi e vedere se poteva essergli utile per finire in televisione un giorno sì e uno no. Fece un gesto al cameriere, quello si avvicinò, gli chiese una crema di caffè e un cornetto vuoto. Mentre aspettava, arrivò l’Ispettore. Si sedette anche lui e sentenziò:

«Che lunedì di merda».

Il Commissario sospirò e annuì.

«Ho visto Grandi uscire dal Villaggio mentre arrivavo».

«E allora non c’è bisogno che ti dica altro. Tranne che dobbiamo chiudere oggi».

L’Ispettore non sembrò particolarmente stupito, forse perché anche lui conosceva Grandi abbastanza da immaginare perché fosse passato di lì.

«E allora cosa facciamo?».

«Ormai abbiamo sentito tutti quelli che c’interessavano. Sembrano tutti a posto. Avremmo potuto perfino chiuderla lì, eppure un altro di loro muore appena ventiquattro ore dopo. Per non parlare dei soldi di Antico. Per non parlare di quanto sono strani e dell’impressione che mi fanno continuamente di pararsi le spalle a vicenda solo per togliersi la soddisfazione di pugnalarsi fra loro personalmente».

«Sì, dottore, ma qui bisogna dare un taglio netto».

Il Commissario lo guardò. “Taglio netto” era stato pronunciato con un tono denso, pieno di implicazioni, molto significativo. Arrivarono il cornetto e la crema.

«Un taglio netto?».

«Un taglio netto».

«Tanto saranno tutti al congresso, a firmare e a farsi vedere».

«Preciso».

«Va bene, fammici pensare».

«Scusi, ma non abbiamo molto tempo. Fra un po’ tutti saranno fuori, e quello è il momento. Lasci fare a me. Ci metterò un’ora al massimo».

«Va bene. Se c’è anche solo la puzza di un problema torni qui liscio come una raccomandata. Intesi?».

«Non si preoccupi».

L’Ispettore si alzò e si avviò con un passo calmo e cadenzato che sembrava quello di un pensionato ai giardinetti. Nessuno sembrava nemmeno accorgersi di lui.

17-09-2015 | 12:44