Basta imboccare una strada sbagliata...

«Questa è la storia di un uomo che cade da un palazzo di 50 piani. Mano a mano che, cadendo, passa da un piano all'altro, il tizio per farsi coraggio si ripete: "Fino a qui, tutto bene. Fino a qui, tutto bene. Fino a qui, tutto bene." Il problema non è la caduta, ma l'atterraggio.»

Da dove nascono l’emarginazione, l’odio, la violenza? La storia è buona narratrice di questa genesi. I fenomeni di cui siamo spettatori, e a volte anche coprotagonisti, oggi fanno parte di questa realtà, cominciata con l’uomo e con lui inesorabilmente fino alla fine. Non mi rivolgo ai protagonisti e non senza una dolorosa ragione. Dubito che leggeranno un articolo su questo sito e tantomeno questo. Potessi sbagliarmi, sarei sinceramente felice e vorrei parecchio più bene al mondo. Pensassi che anche uno solo dei ragazzi emarginati e disagiati delle nostre periferie, italiano o straniero che fosse, potesse leggere del film di cui racconto, potrei dire che ho provato l’emozione del Natale per la prima volta dopo molti anni.

Il film di Mathieu Kassovitz L’odio parla di questi ragazzi, nello specifico di quelli della banlieue parigina, originari di differenti paesi e spesso di diverso colore e credo, quasi tutti accomunati dal sentire di essere tagliati fuori, spesso giudicati a priori, bollati come senza speranza nonostante i propri legittimi sogni, che man mano si spengono e si trasformano in frustrazioni più o meno violente.

A  furia di sentirsi così, anche quelli con una buona e miracolosa scintilla dentro, nonostante l’onnipresente degrado, finiscono per precipitare, per atterrare con uno schianto scritto ancor prima di aver detto il loro nome per intero a qualcuno. Come Hubert, che è riuscito a venir fuori dal giro della droga grazie alla sua passione per il pugilato e per l’impresa sportiva e umana del grande Mohamed Alì, ma che ci ricade perché danno fuoco alla sua palestra e, con lei, a quel briciolo di fiducia che era riuscito a salvare dentro di sé.

Ecco lui, Vinz e Said, che galleggiano, insieme a tanti altri, spesso giovanissimi, in una periferia sporca e presidiata dalla polizia a seguito di scontri violenti fra alcune bande e le forze dell’ordine, durante le quali un loro compagno viene ferito brutalmente e finisce in coma. Nel corso degli scontri un poliziotto perde la pistola e Vinz se ne impossessa, minacciando di usarla contro gli “sbirri”, se l’amico dovesse morire.

Il film si svolge in 24 ore ricche di avvenimenti crudi e insieme miserabili, che spesso hanno come sfondo cartelli pubblicitari beffardi e struggenti “l’avenir c’est  nous”,  “le monde est a vous”, concetti talmente lontani da divenire trasparenti anche a due centimetri dal naso.

La noia e il vuoto culturale e sociale stringono questi giovani in un cerchio destinato a scoppiare. Esemplare la scena del party sul tetto, che viene sgominato, anche se si stavano semplicemente arrostendo delle salsicce. Il senso di ingiustizia cresce insieme alla confusione fra bene e male, fra giusto e sbagliato, fra concetto di forza – che Hubert  fino alla fine mantiene, eroicamente – e di violenza, unica manifestazione di potere riconosciuta dall’in fondo fragilissimo Vinz.

Il regista è molto attento a raccontare anche i poliziotti “buoni”, quelli che lavorano per questa comunità e che cercano di aiutarla. Ma per un giovane arrabbiato una divisa è una divisa, troppo complicato fare distinzioni.

Si sentono soli, lo sono in effetti quasi sempre, difficile riconoscere una mano tesa che vuole sollevare e non schiacciare sotto terra. Non basta un commissario amico, serve la società tutta, l’abisso è troppo fondo e scuro per tirar su pesci tutti interi. Fa male anche vedere le scene che raccontano i talenti, dal musicista al break dancer, piccole stelle che si perdono nel mare di merda che troppo spesso li fagocita, mostruoso e implacabile.

Ma Kassovitz ci fa anche prendere fiato ed è esilarante la scena della loro imbucata a un vernissage, dove partono timidi e finiscono scatenati, terribilmente vivi, teneri quasi nella loro purezza di “ignoranti” guastafeste.

Splendida e mistica invece quella nel bagno pubblico di Parigi, quando i tre incontrano un anziano signore sopravvissuto alla deportazione in Siberia, che racconta loro una storia fondamentale, se solo venisse compresa. Ma come incolpare i ragazzi di non trovare il cuore di una metafora mentre vivono nelle viscere di un’allegoria senza scampo?

L’ultimo incontro dei tre è con i naziskin, che li attaccano e che riescono a neutralizzare grazie alla pistola di Vinz, che poi però il ragazzo non ha la forza, o meglio, ha la forza di non usare.

Sembrano salvi, ma ecco il “caso”, che li fotte. Succede spesso, troppo spesso così ai ragazzi senza una vera direzione. E pensare che pochi minuti li avrebbero messi in salvo.

Che forse avrebbero avuto il tempo di riflettere sulla storia raccontata dal vecchio signore e magari avrebbero accettato l’aiuto del commissario amico, per costruire qualcosa insieme.

Basta un attimo a volte, basta imboccare una strada sbagliata di troppo.

(Fino a qui tutto “bene”).

 

p.s. Se un ragazzo o una ragazza che si sente tagliato fuori, emarginato, senza speranze e senza spazio nella società, stesse leggendo davvero, per favore, mi mandi un email su paolaveneto3@gmail.com.

Andiamo a arrostire salcicce sul mio tetto e poi al cinema, abbracciati.

Paga il Direttore, eventuale multa e salsicce comprese.

 

 

16-06-2015 | 10:56