Apologia del plagio

Luigi Mascheroni ha pubblicato un saggio da leggere e meditare: Eogio del plagio. Storia, tra scandali e processi, della sottile arte di copiare da Marziale al web, Aragno Editore. Chi ha detto che il plagio è un delitto?  La scrittura – come la pittura, il cinema, la musica – da sempre si nutre di ispirazioni, prestiti e contaminazioni. Dagli antichi ai postmoderni, tra scandali, accuse, processi, casi editoriali e polemiche giornalistiche, quella del plagio è una lunga storia di echi, calchi, scopiazzature, “citazioni”.

Dagli autori classici alla narrativa di consumo, dai premi Nobel ai bestselleristi, dagli accademici alle grandi penne, dai romanzieri di culto a quelli di moda, tutti in qualche modo “copiano”: alcuni in maniera elegante, altri spudoratamente. Ma è davvero un crimine? Il plagio, quando non è puro copia-e-incolla ma rielaborazione creativa di un “originale”, può sortire effetti artistici sorprendenti. Catullo si ispirò alla vena poetica di Saffo, La Fontaine lesse molto bene Esopo, Molière usò un po’ troppo disinvoltamente Plauto. E poi ci sono Charles Dickens, Bertolt Brecht, Stephen King…

E da noi chi è stato accusato di attingere da altri autori? Si dice che Emilio Salgari lo fece per denaro Luigi Pirandello, per andare in fretta in cattedra, Enzo Siciliano per “distrazione”, Susanna Tamaro senza accorgersene, Melania Mazzucco “per caso”, fino all'ultimo caso di Roberto Saviano - aggiungiamo noi - per "Zero zero zero". Insomma, dal copiare non si salva nessuno, o quasi. Del resto, senza il plagio la letteratura sarebbe molto più povera, e il giornalismo non esisterebbe neppure. Perché, come diceva quel tale che sul tema era molto ferrato, “i veri geni copiano”. Oscar Farinetti, guru del marchio enogastronomico più chic esistente oggi sul mercato, simbolo di quel made in Italy tanto copiato nel mondo, in un importante convegno di settore confesso di aver inventato Eataly copiando dagli altri: “E tutta la vita che copio – dichiaro – e posso dire che sia la cosa più poetica che c’è, in quanto sono pochi quelli che ammettono che c’è qualcuno che ha più talento di loro”. Non a caso, quando venne a  sapere, nel dicembre 2014, che un geniale bengalese, Asad Ullah, con un colpo di marketing strepitoso aveva chiamato il suo piccolo negozio di alimentari a Torino “Eat, Ali”, comprò una intera pagina di pubblicità di un grande quotidiano e fece scrivere, con stile e ironia, “C’e modo e modo di copiare. Ma quando si copia con intelligenza…”.

Ecco, infatti. Da noi “ladri di parole”, volgarmente si dicono copioni, tecnicamente plagiari. Un vizio che viene da lontano, molto lontano. Mascheroni si diverte, con amore. Il suo Elogio del plagio (che ovviamente include anche in nota la coppia Majakovskij-Pavese) oscilla tra la sincerità e l’ossimoro. E del resto, come da aforisma attribuito a vari personaggi, da Stravinskij a Picasso a Dalí, dunque anch’esso plagiato, “i grandi artisti non copiano: rubano”. Non e un mistero per nessuno il fatto che il plagio letterario sia antico come il mondo, quasi come la prostituzione. A cui, peraltro, e accomunato spesso dalla mancanza di pudore.

Come disse qualcuno, “L’uomo essendo nato, come ognuno sa, con la violenta aspirazione a impadronirsi dell’altrui, il plagio si perde nella caligine dei tempi”. Dicono che gli antichi Romani l’abbiano appreso dai Greci, che i greci abbiano plagiato i barbari, che i barbari… e via dicendo. L’unica cosa certa è che il plagio, col procedere dei tempi, andò sempre crescendo nel numero e raffinandosi nella malizia. Dunque: Chapeau! (Chi l’aveva già detto?). 

 

 

11-11-2015 | 11:55