Abbasso i tovaglioli di carta, viva Huysmans

Troppo piccoli, rigidi, fatti di una carta miserrima – spesso con la marca del caffè stampata sopra – non asciugano, non puliscono, non assorbono e sono troppo ostili anche solo per soffiarsi il naso: sono i meschini tovagliolini di carta che troviamo sui banconi dei bar ossia l’inutilità portata alle estreme conseguenze.

E non si pensi che scrivere di questo sia un segno di sprezzatura decadente alla Huysman (sempre sia lodato), che induce il protagonista del suo À rebours all’ossessione per i dettagli di casa: no, qui la faccenda è sostanziale, se non altro per una questione di logica. Il timore, infatti, è che chi risparmia sui tovaglioli o suoi piatti con molta probabilità risparmierà – si chiama forma mentis – anche sul resto, ingredienti del cibo compresi. Tradotto: ad accompagnare l’aperitivo ci saranno le focacce del mattino sezionate in piccole parti – nella convinzione che una tragedia sia meno tragica se somministrata in piccole dosi – le patatine da discount, le noccioline idem e le olive stremate dall’attesa. Perché se uno vuole risparmiare qualche spicciolo su un tovagliolo non dovrebbe farlo anche sulle patatine?

Ma quante storie per un dettaglio! direbbe l’avvocato del diavolo. Sì, però chi è convinto che nei dettagli si annidi il diavolo, e non dio, probabilmente non ha avuto la giusta educazione estetica, ha visto pochi dipinti fiamminghi e letto pochi autori francesi. In questi casi, badateci, il misero tovagliolino spesso fa pendat con la luce al neon e le sedie di plastica: la morte dell’esteta. In fondo perché creare un ambiente accogliente quando si possono economizzare 20 centesimi sulle lampadine e piegare i poveri clienti a prendere un caffè in una stanza dal sapore odontoiatrico? E quando i piccoli diavoli “griffati” vengono adagiati sul piattino su cui poggia la brioche, guardate il farinaceo negli occhi, troverete ancora le tracce dell’ibernazione dalla quale è reduce. Altro che pasticcere, qui la memoria corre alla Luisona, la vecchissima brioche del Bar dello Sport di Stefano Benni. In fondo questo gioco al risparmio non avviene solo nel modesto bar della stazione, ma anche in quelli di (cosiddetto) alto livello, quelli che, per nobilitare l’eliminazione di una voce di costo, hanno escogitato l’estinzione della tovaglia facendola passare per un’idea originale.

All’Harry’s Bar di Venezia per pagare la lavanderia Arrigo Cipriani spende, ogni anno, una cifra che potrebbe comprarci un appartamento o quasi, però tovaglie e tovaglioli sono sempre di lino, estate e inverno, altro che carta. E sempre in Calle Vallaresso non si sognerebbero mai di accompagnare il cocktail con i residuati bellici della mattina, qui ti arriva un Pierino appena sfornato. Costa di più, direte voi: no, costa come nei bar acchiappaturisti sparsi in zona San Marco. Che sopra al piattino hanno il tovagliolino incriminato con sdraiate sopra le sezioni della focaccia mattutina, ma qui, vista la sacralità del luogo, con lo stuzzicadenti conficcato. Come per tenere insieme i resti di chi una volta è stato giovane. E che per la vecchiaia sognava lenzuola di lino.

 

 

20-06-2017 | 13:11